Sassolino

SASSOLINO   1991-05-25

 C’era una volta in un bosco lontano una giovane orsa che non poteva avere figli. Disperata si recò presso le tane dei più dotti animali, ma nessuno poté aiutarla. Stava per tornare nella sua dimora, quando incontrò l’amica lepre che le consigliò di recarsi dalla maga arrivata un paio di mesi prima da un pianeta di un altro sistema solare. L’orsa corse subito dalla straniera, anche se per la verità era un po’ diffidente. La maga le diede da masticare delle strane foglie, la fece bere un intruglio preparato da lei, e le disse di tornare fiduciosa dal suo compagno e di aspettare il tempo necessario. Dopo qualche mese, ci fu nel bosco una grande festa per la nascita di quattro piccoli orsetti. La coppia felice presentò orgogliosa i primi tre nati agli ospiti, ma tenne in casa il quarto figlio, adducendo la flebile scusa che essendo nato per ultimo doveva stare riguardato ancora per un po’. Gli orsacchiotti erano proprio belli, e in onore della maga venuta da lontano vennero chiamati Sole, Astro e Luna la femminuccia. All’ultimo, venne imposto il nome di Sassolino. La festa fu sfarzosa e allegra, furono serviti cibi per tutti i gusti e bevande prelibate, e tutti si divertirono. Solo la mamma orsa aveva qualche volta lo sguardo triste: pensava al suo ultimo figlio. Chissà cos’era successo!
Egli infatti, era piccolissimo, non più grande di una pietruzza. Per proteggerlo dagli altri animali e dai vivaci fratellini, lo aveva rinchiuso in una gabbietta fatta di sottili rametti, con una mezza noce per culla, una ghianda per giocare, una pigna da usare come scaletta, e un’altalena fatta con un filo d’erba. Per molto tempo i genitori si vergognarono di lui al punto tale da non mostrarlo mai in giro; ma poi venne il giorno in cui dovettero cedere alle domande degli amici, e… ahimè!
L’orsetto era piccolo sì, ma non stupido. Capì subito cosa significavano quei sorrisini, quegli sguardi d’intesa; alcuni poi, furono così sgarbati da dire apertamente quanto fosse brutto, così piccolo e insignificante. Sassolino soffrì moltissimo, ma una cosa ben più triste doveva accadergli; suo padre infatti, in un tetro giorno d’inverno, con la scusa di farlo a conoscere a degli amici, se lo era caricato in spalla, aveva camminato per diverse ore, e lo aveva quindi abbandonato lasciandolo sperduto in quel posto lontano.
Sassolino, prevedendo quello che sarebbe successo, aveva cercato di buttare delle briciole per segnarsi la strada, ma era così piccino, che i segnali lasciati dietro di sé risultarono subito invisibili nel sottobosco ove, nei suoi confronti, tutto era gigantesco.
Rimasto solo, il piccolo orsetto pianse un po’, ma giunta la notte, si rallegrò al canto degli uccelli notturni e alla vista delle stelle che brillavano fra le fronde degli alberi. Si era addormentato quasi all’alba e al risveglio il sole era già alto. Gli fu facile trovare qualche seme per nutrirsi e bevve le gocce di rugiada depositatesi sull’erba. Zampettò poi allegro dirigendosi verso nord, curioso di vedere la neve, felice in fondo, della sua nuova libertà e di essere lontano dai commenti cattivi degli amici e dagli sguardi di disgusto dei genitori e dei fratelli.
La mamma gli aveva più volte ripetuto: “Sassolino, non andartene in giro per il bosco da solo, potresti fare dei brutti incontri! il lupo, per esempio! che ti mangerebbe in un sol boccone, anzi, in un solo bocconcino.” Ma ora, che poteva fare? Era sì piccolo, ma era anche molto risoluto e coraggioso, così si avviò con andatura spedita. Cammina cammina, arrivò a una grande tana.. Toc, toc, toc. Bussò alla porta.
– Avanti – disse una voce dal timbro indefinito. – Avanti – ripeté più volte la voce. L’orsetto entrò, e vide su di un enorme letto un animale sconosciuto.
– Posso entrare a riscaldarmi? Il mio nome è Sassolino ma siccome il mio pelo è fulvo, molti mi chiamano Sassetto Rosso. Tu chi sei?
– Io sono una nonna – disse quello strano animale guardandolo fisso.
– Nonna, che occhi grandi che hai!
– Per guardarti meglio, orsacchiotto mio.
– Nonna, che orecchie grandi che hai!
– Per sentirti meglio, orsetto caro.
– Ma nonna, che zampacce grandi che hai!
– Per afferrarti meglio!!! – E così dicendo la vecchiaccia allungò la mano simile a un artiglio per ghermire l’animaluccio. Ma Sassolino era agile e svelto, e così piccino riuscì a infilarsi in un buco sul muro e a fuggire. La nonna provò a rincorrerlo, ma appena uscita incontrò suo figlio coltivatore che le portava un gran cesto di frutta e verdura di stagione, e tutta contenta la vecchia rincasò con lui.
S’era intanto fatto nuovamente buio; l’orsetto si avvolse in una foglia secca e si addormentò subito beato. Era piccolissimo, sì, ma per niente brutto! La sua pelliccia dai riflessi del mogano era folta e calda e lo proteggeva perfettamente dai rigori dell’inverno. Quando il sole riapparve in cielo, lo trovò che sgambettava già da un pezzo tutto felice e orgoglioso più che mai.
Sassolino era uno spirito libero!
Camminò per molto tempo. Evitò con pazienza i molti ostacoli per lui insormontabili, si ripulì ogni giorno con diligenza, cercò di variare i suoi pasti per mantenersi in forza ed ebbe cura di ripassarsi le tabelline come la mamma gli aveva insegnato, per non dimenticare come si facevano i conti. Ascoltò bene il linguaggio delle varie specie di animali che incontrava per imparare le lingue straniere, e osservò tutto ciò che vedeva lungo il suo viaggio con molta attenzione per apprendere più cose possibili. Sassolino aveva un’intelligenza molto acuta. Da grande poteva diventare un animale molto dotto! Si fermò spesso anche per ammirare la bellezza del paesaggio: gli altissimi alberi che d’inverno stendevano i loro rami verso il pallido sole; i cespugli sempreverdi; le bacche rosse, macchie di allegro colore in qualsiasi grigia giornata.; la nebbia ovattata che talvolta scendeva sulle radure fra la quale animali e piante sbucavano d’improvviso o si occultavano quasi a giocare a nascondino; la bianca luna, le brillanti stelle.
Sassolino aveva un’animo poetico! Forse avrebbe potuto dedicarsi a qualche forma d’arte!
Cammina, cammina, cammina, diventò ogni giorno più forte e robusto.
Cammina, cammina, cammina, imparò un’infinità di cose e tutti coloro che si fermavano a parlare con lui notavano la sua perspicacia e la sua saggezza.
Ormai il tempo passava veloce; distratto dalle innumerevoli novità che quotidianamente incontrava, quasi non s’accorse del trascorrere dei giorni e del cambiamento del clima. Notò il sopraggiungere della primavera vedendo i germogli sulle piante, il nuovo verde al suolo, il risveglio dal letargo di alcuni animali e il ritorno dei migratori. Quest’ultimi gli portarono notizie dal sud: apprese così con felicità che la sua famiglia stava bene, i suoi genitori erano finalmente orgogliosi di “tutta” la loro prole, e i fratelli erano diventati grandi e belli. Ne era proprio contento! Poi però corse a specchiarsi in una pozza d’acqua cristallina circondata dai narcisi e si guardò con occhio critico. Beh! lui era davvero “mooolto” piccino per essere un orso, ma in tutta sincerità non si trovò proprio per niente brutto!
Tuttavia chiese conferma alle splendide farfalle: – Sei, per noi, grande e bellissimo! – dissero queste. Si rivolse poi alle volpi dalla splendida pelliccia fulva: – Sei, per noi, deliziosamente piccino e adorabile! – risposero quest’altre. Tutto soddisfatto, ringalluzzito dai complimenti, pavoneggiandosi non poco Sassolino riprese la strada.
Cammina, cammina, cammina, si ritrovò sempre più in mezzo a spazi aperti.
Ora poteva vedere in alto, sopra gli alberi sempre più radi, grandi squarci di cielo azzurro attraversato dal caldo sole estivo di giorno, tempestato da miliardi di stelle nella notte.
Ora gli facevano compagnia grilli e cicale, rondini e gabbiani. Sì, perché quasi senza accorgersene era arrivato in prossimità del mare, e sempre più spesso scorgeva volare alti quelli uccelli marini che si spingevano un po’ nell’entroterra per variare il loro menù.
Oh! il mare, che meraviglia! Corse sulla rena chiara, si bagnò le zampette, si tuffò nelle piccole onde che giungevano a riva giocando fino allo sfinimento. Si sdraiò quindi ad asciugarsi su di un sasso grande e piatto, sotto gli ultimi raggi dorati del tardo pomeriggio. Poi si rizzò a sedere, e rimase a guardare estasiato lo scintillio dell’acqua, la spuma bianca, le nuvole indaco e blu all’orizzonte. Era talmente assorto nella sua contemplazione che non si accorse di una nuova presenza alle sue spalle.
Colei che avanzava con passo leggero era una giovane, bellissima principessa. Essa si fermò poco lontano dalla pietra dove stava seduto Sassolino e restò a osservarlo per lungo tempo in silenzio. “E` chiaramente un orsacchiotto” pensava la principessa, “ma a quale razza apparterrà così piccino? Che delizioso animaletto!”
Il sole infatti faceva risplendere la sua pelliccia e la brezza marina della sera ne scompigliava i ciuffi folti facendolo sembrare un batuffolo morbido. Finalmente il piccolo orso notò la presenza della giovane sconosciuta. La guardò per bene poi, non riuscendo proprio ad identificarla, le rivolse una domanda con la sua solita innata cortesia:
– Ciao, io sono Sassolino, tu chi sei?
– Sono una ragazza umana, e sono una principessa. Vuoi venire con me? – E così dicendo la giovane tese la mano verso l’animaletto piccino ed egli, sempre desideroso di novità e di avventure, ci saltò su accoccolandosi fra le lunghe vellutate dita chiuse a coppa. Trasportato così comodamente in quella seppur strana portantina, l’orsacchiotto arrivò velocemente alla reggia estiva, dimora della giovane figlia del re. Si trovarono subito benissimo insieme, il piccolo orso dei boschi del sud e la bella principessa del mare del nord.
Passò tutta l’estate, arrivò l’autunno, le giornate scorrevano via veloci in allegria, le notti serene, ma l’orsetto cominciava a sentire nostalgia per le passeggiate nei boschi, per l’avventura, per la libertà di far quel che più gli pareva. Non sapeva che fare.
– Resta con me, – gli diceva la ragazza di continuo. Tornarono ancora una volta in riva al mare.
Sassolino rimase a lungo in silenzio seduto sullo scoglio, a guardare le navi passare, i lontani camini. La curiosità di vedere la città e il poter restare vicino alla sua cara amica erano forti ma… come sarebbe stata la sua vita? Si girava poi verso l’entroterra, pensava agli alberi, all’odore del muschio, alla neve ormai imminente. E tornava quindi a fissare pensieroso il mare.
Dietro di lui la principessa lo guardava rispettando il suo silenzio. Era proprio così che lo aveva visto la prima volta, seduto su uno scoglio, lo sguardo e la mente persi nell’orizzonte.
– Vai, piccolo amico mio, – disse piano, con tristezza, ma con decisione, – è giusto che tu segua la tua strada. Io ti ricorderò sempre, e in tuo onore farò erigere una statua lì, nel punto e nella posizione dove sei ora, seduto all’imboccatura del porto, e la tua immagine darà il saluto a tutti i viaggiatori, alle navi che arrivano e a quelle che partono, ed anche le generazioni future ti potranno così ricordare: “L’orsetto, il saluto del porto del Nord”.
Sassolino riprese il cammino con il cuore triste; inoltre, le comodità della reggia, il cibo sempre pronto e prelibato, il riparo dalle intemperie, lo avevano rammollito un po’. I primi giorni nella ritrovata strada furono piuttosto faticosi e alla sera si raggomitolava in sé stesso stentando ad addormentarsi. Gli animali che incontrava non gli furono di molto aiuto, tutt’altro, lo snobbavano, non gli davano più confidenza, e alcuni addirittura lo trattarono male.
Cadde la neve. Non più abituato ad affrontare allegramente le avversità, con le zampette ogni giorno più stanche, il piccolo orso divenne sempre più triste; non gli fu più di conforto l’aver raggiunto il suo scopo e rotolarsi sulla bianca coltre non gli dava nessuna gioia.
Trovava ora assai difficile procurarsi il cibo, dimagrì, si sentì male. Cercò aiuto presso ogni tipo di animale, ma tutti gli chiusero la porta della tana in faccia. Non aveva niente da dare in cambio, niente da vendere, nemmeno pochi fiammiferi. Ora aveva fame, aveva freddo, si sentiva solo.
Era ormai inverno inoltrato e la neve era alta, avanzare non gli era più possibile, per tornare indietro era troppo stanco. Scoprì un posto riparato ai piedi di una collina innevata, forse una vecchia tana abbandonata. Triste, sconsolato, stanchissimo, si sdraiò sul punto più lontano dall’entrata, raccolse dei legnetti secchi da terra e strofinandoli come gli aveva insegnato per gioco la principessa li accese come piccole torce.
Alla loro luce e al loro tepore, Sassolino sognò a occhi aperti: mentre il primo finiva di bruciare vide la reggia estiva: i soffici cuscini, le tavole imbandite… Mentre bruciava il secondo vide la sua dolce amica: lei gli parlava e gli sorrideva… Ora si sentiva felice, ma il bastoncino si spense. Ne riaccese subito un terzo… ma era troppo stanco! Prima che gli occhi gli si chiudessero in maniera definitiva però, gli sembrò di vedere la maga venuta da un altro pianeta che lo aveva fatto nascere e che era sua madrina. Fu un attimo! gli aveva sussurrato qualcosa all’orecchio, ma non era riuscito ad afferrare le parole. Gli sembrò lo avesse toccato. Ma forse non era che una desiderata carezza… Poi più nulla!
…Dormiva? Sognava? Domande a cui non sapeva dare risposta.
Si stropicciò gli occhi con le zampine. Sbadigliò, si stiracchiò; si sentiva bene, ma era tanto, tanto affamato. Quanto tempo era passato da quando era entrato in quel buco? Aveva certo dormito a lungo e fatto strani sogni: la principessa, la maga, bastoncini accesi… Forse era meglio rimandare ogni pensiero e ogni ricordo a più tardi; ora era urgente trovare del cibo.
A stento uscì dall’apertura della tana. Oh! Doveva aver dormito davvero molto! Non c’era più neve attorno, salvo che in qualche piccolo cumulo; cominciava a fare più caldo, c’era già erbetta verde a terra e germogli sugli alberi e sui cespugli. Ma com’era tutto diverso! Sì, certo, capiva! Si era addormentato nel letargo invernale. Succedeva, lì al nord. Ricordava… c’era la neve, faceva freddo, e ora era evidentemente arrivata la dolce primavera ma… Gli sembrava che proprio ogni cosa fosse diversa! Che c’entrasse in qualcosa la maga sua madrina? Beh! per prima cosa ora doveva sfamarsi, poi avrebbe cercato di dare una spiegazione a tutti quegli enigmi. Si sentiva tutto strano! Toh! c’erano tre orsi, e piccoli quanto lui. Non sapeva che ne esistessero! Si avvicinò cauto, forse loro potevano aiutarlo; forse, essendo come lui, non lo avrebbero respinto canzonandolo.
Respingerlo? Tutt’altro! Furono gentilissimi, divennero subito amici, gli diedero parte del loro cibo, gli dissero il nome di quel luogo e gli descrissero i dintorni e gli animali che ci vivevano. Sassolino continuava a fare domande, e essi a rispondere con cortesia; ma a un certo punto si accorsero che c’era qualcosa davvero che non andava, come se entrambe le parti parlassero di due mondi diversi. Poi…
– Piccolo? Chi è piccolo? Tu? Noi? Ma non è vero! Siamo dei normalissimi orsi bruni, e tu sei un po’ magro forse, ma sei ugualmente davvero bello! – C’era una pozzanghera lì vicino, formata dalla neve appena scioltasi al sole, e parlando lo avevano condotto fin sul bordo.
– Guardati – gli dissero, – e guarda noi. Osserva ciò che è intorno. – Sassolino fece come dissero, poi sedette un po’ in disparte per pensare meglio. Sì! Senza dubbio avevano ragione loro.
Era certo opera della buona maga: durante il letargo era cresciuto e ora era un giovane orso del tutto normale. “E pure piuttosto bello!” pensò compiaciuto tornando dai suoi amici. Ora doveva decidere nuovamente cosa fare della sua vita.
Aspetta a decidere, – gli dissero gli orsi – fai con comodo, intanto puoi stare con noi. – E così dicendo si diressero verso la loro tana; ma una volta giunti…
– Chi ha mangiato la razione di miele che mi ero messo via per questa sera? – disse il più grosso degli orsi.
– Chi ha bevuto il mio succo di more? – disse il secondo.
– Chi si è sdraiato sul mio giaciglio? – soggiunse l’ultimo.
– Sono stata io, scusatemi, ma ero così stanca dopo questo lungo viaggio!
Si girarono di scatto e scoprirono la presenza nella tana della maga extraterrestre.
– Non fatele del male, – pregò l’orsetto – è la mia madrina, è buona, e mi ha sempre aiutato.
– Sono proprio io, – disse la maga abbracciandolo, – sono venuta sin qui dal lontano sud per vedere come sta il mio figlioccio caro.
– Oh, sto benone, grazie, – rispose questi, – ma sono un po’ indeciso su cosa fare ora.
– Prendi questo fagiolo, ti potrà essere utile. Sono contenta che tu ora sia felice. – e detto questo la buona maga scomparve. Stupefatto per lo strano dono Sassolino rimase zitto a pensare.
– Mettiamolo assieme ad altri, e facciamo una minestra – disse il primo orso.
– Ricopriamolo con dell’oro, ne facciamo un ciondolo, e Sassolino lo potrà tenere al collo come portafortuna – suggerì il secondo.
– Forse lo deve mangiare così come sta – azzardò la sua proposta il più piccolo.
Ma Sassolino, che lungo il suo pellegrinare aveva imparato molto e era diventato saggio disse:
– Amici miei, sono, le vostre tre proposte, ugualmente interessanti, ma non penso sia così che io debba fare. E poi non sappiamo, forse questo è un fagiolo magico! Per la zuppa, è decisamente troppo poco; per farne un ciondolo ci vuole dell’oro, e io non ne ho; e mangiarlo così, proprio non mi piacerebbe, e poi vorrei che fosse utile anche a voi, che siete così gentili con me. Ho un’idea: la stagione è giusta, proviamo a piantarlo, se nascerà una pianta, avremo un numero maggiore di fagioli, che potremo reimpiantare e poi… chissà!
– Proviamo – dissero gli altri orsi tutti d’accordo. L’orso fece un buchino per terra vicino all’ingresso della tana, lo ricoprì, lo annaffiò, e rientrarono tutti per passare la notte al riparo.
Alle prime luci del giorno uscirono stiracchiandosi e… Non era una semplice piantina quella germogliata durante la notte, il fagiolo doveva essere davvero magico perché ora si era trasformato in una pianta enorme, dalla base come un tronco d’albero e dalla cima che si perdeva fra le rosee nuvole del mattino.
– Se lo abbattiamo avremo tanta legna da ardere per tutto l’inverno – disse il primo orso.
– Se stacchiamo tutti i fagioli enormi che vi crescono avremo una scorta per fare almeno mille minestre – azzardò timidamente il secondo.
– Se lo lasciamo così sarà un’attrattiva da Luna Park per tutto il bosco – disse il terzo che era un gran giocherellone.
– Possiamo fare tutte queste cose: prima lo teniamo così per un po’, quando l’avranno visto tutti lo abbattiamo, dal tronco ne ricaviamo tanta legna e i fagioloni li riponiamo e li mangiamo un po’ alla volta. Prima però, voglio arrampicarmi fino alla cima, così potrò vedere sopra le nuvole.
Così parlò Sassolino nella sua saggezza (e soprattutto nella sua mai spenta voglia di nuove scoperte). Detto fatto, cominciò ad arrampicarsi sulla pianta di fagiolo. Su, su, sempre più su. Guardando verso il basso vide gli amici piccini piccini, e gli venne da ridere pensando che lui, l’anno prima, era davvero così. E poi proseguì tutto contento. Oltrepassò il primo strato di nuvole, poi ne fu immerso totalmente come se si trovasse fra ciuffi di bambagia; e quindi di trovò sugli strati superiori. Si guardò a lungo attorno meravigliato da tanta bellezza. Il sole sfiorava con i suoi raggi i cumuli di nuvole tingendoli di rosa, azzurrino e lilla.
Ma restò a dir poco allibito nello scoprire una lunga striscia piatta e serpeggiante che passava vicino alla pianta di fagiolo e si perdeva curvando attorno a una nuvola simile a una collina. Sembrava una strada! Sassolino ne tastò la consistenza con la zampa anteriore e sentendola dura provò a camminarci sopra. Reggeva! Senza pensarci due volte, con curiosità sempre crescente cominciò a percorrerla. Oltrepassata la grande curva però, lo aspettava una ancora più strabiliante scoperta: c’era una casa dalle dimensioni enormi.
Silenziosamente, quatto quatto si avvicinò e con circospezione sbirciò dalla porta socchiusa: una donna dall’aspetto massiccio stava apparecchiando una enorme tavola.
– Buongiorno – disse Sassolino.
– Buongiorno a te, bell’orsetto. Ma che fai da queste parti? Non sai che è molto pericoloso? Questa è la casa dell’orco mio marito, e se ti vede non ci pensa due volte a usarti come colazione. – Sassolino era sì un tipetto coraggioso ma, anche se ora era di dimensioni normali, sfidare un orco era un po’ troppo! Fece per andarsene quando si udirono distintamente i passi dell’orco lungo la strada.
– Presto, nasconditi nella stufa, che ora è fredda. Dopo ti farò uscire.
Appena dentro casa, l’enorme gigante si guardò con sospetto attorno annusando l’aria.
– Moglie, – disse – è stato qui qualcuno?
– No, marito mio. – rispose questa. Ma l’orco continuava ad annusare attorno…
– Ucci ucci ucci, sento odore di orsucci! – E così dicendo andò diritto verso la stufa. – E questo cos’è? – disse l’orco tenendo Sassolino per la collottola.
– Io non ne so niente. – rispose la moglie; ma fingendosi indaffarata se ne andò svelta dalla cucina.
– Buongiorno! – disse l’orsetto con la sua arietta gaia. Non era infatti proprio per niente spaventato, anzi, gli veniva da sorridere guardando l’espressione stupita, alquanto buffa dell’orco. – Non mangiarmi, dai! Non sono commestibile.
– No, no, – disse l’orco, – io sarei vegetariano! mangio ciò che mi capita a tiro solo perché non c’è mai verdura a sufficienza per me. Sapessi che tristezza! – Commosso, Sassolino strofinò la sua morbida pelliccia contro la manona dell’orco… e gli venne un’idea sfolgorante:
– Ti piacciono i fagioli? – E così dicendo corse lungo la strada fra le nuvole.
Giunto alla magica pianta, la mostrò al nuovo amico raccontandone la storia.
– Ora, – aggiunse alla fine, – io vado giù, taglio la base con un’ascia, e tu, con la tua forza, riuscirai senz’altro a trarla su; qui c’è una bella scorta di fagioli per te. Anzi, ti consiglio di tenerne uno, piantarlo e chissà, forse nascerà una nuova gigantesca pianta e potrai ricominciare daccapo.
Felicissimo, l’omone non sapeva più come ringraziare il piccolo orso; ma poi disse di aspettare un momento, e raggiunta la sua casa con non più di una decina di enormi passi, vi entrò per uscirne poi con una gallinella in mano
– Anche questa è una “cosa magica”, – disse l’orco – aspetta che faccia le uova e capirai.
Sassolino ridiscese la pianta di fagioli con la gallina appollaiata sulle sue spalle e, giunto a terra, finché raccontava agli amici ciò che era successo, con il loro aiuto ne tagliò la base. Fu molto felice di vedere che la pianta piano piano veniva tirata su, ma non aveva mai dubitato sulla forza dell’orco, né delle sue parole, e assieme ai compagni attese impaziente che la gallina facesse l’uovo. Passò il giorno, passò la notte, e al nuovo spuntar del sole furono svegliati da un chiassoso allegro “coccodé”. Meraviglia delle meraviglie! L’uovo che la gallina aveva deposto era tutto d’oro, ed erano certi che così sarebbero state anche le prossime.
– Ora potremo comperare quanta verdura per minestrone desideriamo, quanta legna ci serve, e se volete, tutto l’occorrente per un parco di divertimenti attrezzatissimo.
Ai tre orsi che passarono con Sassolino i primi momenti della nuova avventura se ne aggiunsero altri quattro: tre grandi e un cucciolo, e tutti assieme continuarono con grande energia la costruzione del Luna Park. Passarono tutta l’estate lavorando alacremente, ma anche giocando molto e divertendosi tra loro, e all’arrivo dell’inverno era tutto quasi pronto.
Ma Sassolino passava gran parte del suo tempo a rotolarsi sulla sua amata neve, che restandogli appiccicata addosso lo faceva assomigliare a un soffice pupazzone bianco. Era ormai diventato un bellissimo orso grande e grosso e al suo confronto i sette compagni sembravano dei nanerottoli, così, gli amici del bosco, avevano soprannominato, lui e la sua allegra combriccola, “Biancodineve e i sette nani”.
Tutto fu pronto prima dell’inizio del letargo e i compagni si addormentarono nella loro grotta felicissimi, sicuri che al loro risveglio avrebbero potuto incominciare subito il nuovo lavoro. E così fu. In primavera si aprì il più grande modernissimo parco dei divertimenti, con giostre, spettacoli, attrazioni per tutti i gusti di qualsiasi razza, di animale e non.
Tutto andava a gonfie vele e gli amici erano soddisfatti e felici. E il tempo passava! Dopo tante avventure e tante peripezie, grazie alla maga Sassolino era diventato un grande orso, molto ammirato e corteggiato, intelligente e saggio. Buono e gentile per natura ora, con la sua gallina dalle uova d’oro, era anche molto ricco e faceva carità e aiutava il suo prossimo quanto più poteva. Tutti lo rispettavano e lo amavano; lo chiamavano “Il Principe del bosco”, e spesso, dato il colore della sua pelliccia, le orsette da marito, pensavano a lui definendolo “Il Principe Rosso”. Lui restava comunque quell’essere umile e spensierato com’era stato nella sua infanzia, semplice, simpatico e gentile con tutti. Si era costruito una accogliente dimora nei pressi de Luna Park; l’aveva arredata con molto gusto, riempito la dispensa con ogni leccornia e ora invitava amici e compagni a stare da lui anche per settimane intere. Dava spesso ospitalità anche ai viandanti, a chi si perdeva nel bosco, o a chi aveva in qualche modo bisogno di aiuto.
Fu così che conobbe una bellissima ragazza dai lunghi capelli biondi: era ferma dinnanzi all’ingresso della sua tana, incerta se bussare o scappare.
Stava quasi per andar via quando Sassolino la vide da una finestra, e uscendo la chiamò:
– Non temere! sono un orso, ma non faccio del male a nessuno anzi, se posso aiutarti…
– Il mio nome è Bella, – disse la ragazza, – vivo ai margini del bosco con le mie due sorelle e nostro padre. Lui è partito molti giorni fa per andare in un mercato lontano per vendere un prezioso quadro. Siamo diventati molto poveri, e quel dipinto era tutto ciò che ci restava di valore. Papà, però, non è ancora tornato. Le mie sorelle si preoccupano solo del denaro ma io sono molto in pena per lui, e sono venuta a cercarlo. Finora non sono ancora riuscita a trovarlo, sono spaventata, stanca e affamata.
– Entra in casa mia, ti prego, – disse Sassolino, – non aver paura di me. – E così dicendo la condusse dentro, le diede da mangiare e da bere e un soffice giaciglio su cui passare la notte. Poi chiamò alcuni suoi amici e li pregò di cercare il padre di Bella.
Quale fu la gioia della ragazza, quando al suo risveglio l’orso le comunicò che il padre non solo era stato trovato, ma lo aveva fatto riaccompagnare a casa sano e salvo e con un grosso sacchetto di monete d’oro per far fronte a quei momenti difficili.
– Non so proprio come ringraziarti – disse la fanciulla.
– Resta a farmi compagnia per un po’ di tempo – rispose Sassolino.
E la ragazza rimase con lui, felice di essere lì, attratta sempre più dalle sue maniere, dall’intelligenza, dalla gentilezza. Stavano assieme per molte ore, e anche quando l’orso doveva andare in giro per accudire ai suoi affari, la portava con sé seduta sul suo groppone imponente.
“Sassolino” era per lei un nome ormai decisamente fuori posto, e visto che tutti si divertivano ad attribuirgli i più svariati soprannomi, Bella, ridendo del ciuffo di peli rossi che ribelli a pettini e spazzole gli stavano ritti sulla fronte, lo chiamava “Sassonin dal ciuffo”.
All’orso faceva piacere qualsiasi nome ella gli avesse attribuito, perché fin dal primo momento si era profondamente innamorato della dolcissima ragazza.
Bella rimaneva ad ascoltarlo per ore, mentre parlava con gli amici o quando le raccontava le sue meravigliose avventure. Poi si ritirava nella stanza che le aveva riservato e piangeva disperatamente sulla sua stupidità. Essa infatti aveva un aspetto delizioso, un sorriso splendido, un cuore d’oro, però, ahimè, era molto sciocca! Se ne rendeva conto, e ne soffriva enormemente.
All’orso dispiaceva moltissimo vederla fare così, e credendo che Bella soffrisse di nostalgia per la sua famiglia un giorno le disse: – Mia cara amica, va da tuo padre se vuoi ma ti prego, dopo ritorna, perché ormai, senza di te io sento che non potrei più vivere.
La ragazza fu felice per qualche giorno con la sua famiglia, ma le sorelle continuavano a farle domande sui tesori dell’orso, sul perché non se ne fosse impadronita, e la loro avidità l’inorridiva. Solo l’amore per suo padre la tratteneva ancora. Passarono così molti mesi. Ma un giorno non ne poté più dei continui rimproveri delle sorelle, delle loro allusioni e disse:
– Padre, voglio molto bene a tutti voi, ma qui sono triste e sempre derisa mentre nel bosco ero felice e rispettata. E amo l’orso. Torno da lui.
– Bella, che dici! è un animale! – disse il padre.
– Bella, non essere sciocca, è una bestia! – dissero in coro le sorelle. Ma la ragazza, ferita più che mai da queste parole, fuggì all’istante.
L’orso, pensando che la sua amatissima Bella non sarebbe tornata da lui, si era intristito al punto di ammalarsi in modo molto, molto grave. Ma quando la vide tornare pianse di gioia poggiando la testa sul suo grembo, mentre le lacrime della ragazza, pentita per essere rimasta via così a lungo e senza avergli rivelato il suo amore, cadendo dalle gote gli bagnavano il pelo fulvo.
Rimase a lungo ad accarezzare quell’adorabile ciuffo ribelle pensando: “Come siamo diversi! lui così grande e bello, intelligente e buono; ed io così sciocca e cattiva
Pianse fino allo sfinimento, poi reclinò piano il capo ed esausta si assopì. Ma un attimo prima di addormentarsi, le sembrò di vedere accanto a sé la figura di una strana donna…
Nessuno seppe dire se passò un minuto, un’ora o un giorno, quando entrambi si svegliarono la maga era lì, e senza dar loro tempo nemmeno di salutarla cominciò a parlare:
– Miei cari, so qual è il vostro dolore. Ma ascolta Sassolino, quando tu e i tuoi fratelli veniste al mondo, come vostra madrina vi feci un regalo: ai primi tre promisi bellezza e ricchezza, quanto a te, beh! eri piccolissimo, ricordi? ma eri egualmente già bello, e io sapevo che saresti cresciuto anche molto intelligente e saggio, così pensai di farti un regalo speciale: avresti potuto far dono di queste qualità all’essere che tu avresti amato di più.
– E` lei, è lei! – gridò Sassolino con la sua bella possente voce. – E` lei che amo tanto. – E abbracciò la madrina con delicatezza e affetto. Bella intanto, si guardava estasiata attorno, stupita, incredula di poter capire totalmente ciò che la circondava. Non avrebbe mai pensato che il “sapere” fosse così bello e desse tanta gioia. Poi abbracciò a sua volta la maga ringraziandola e quindi corse fra le braccia di Sassolino, nascondendo il volto e le lacrime di gioia fra la sua folta pelliccia. Sopraffatti dalla felicità, giurandosi che non si sarebbero lasciati mai più, i due udirono appena le nuove parole della maga:
– Ora voglio farvi uno “specialissimo” dono di nozze…
E gli amici che erano rimasti intorno ad assistere alla commovente scena, si misero a ballare e a cantare dando inizio ai festeggiamenti mentre i due giovani, ancora abbracciati, sembravano non accorgersi di nulla…
Sassolino, orso Principe degli animali del bosco, alto, forte, intelligente e saggio, dal folto pelame fulvo e un simpatico ciuffo sulla fronte, e Bella, che oltre ad aver ricevuto le doti intellettive dell’amato, ora grazie al dono di nozze della maga, era diventata una deliziosa giovane orsetta con la pelliccia dagli splendidi riflessi biondo oro.
In silenzio, piano piano, la dolce maga sparì, ripromettendosi però di tornare spesso a trovare i suoi protetti, anche se, lei lo sapeva, non avrebbero più avuto bisogno della sua magia, e sarebbero vissuti per sempre insieme, a lungo, felici e contenti.

 

Competenze

Postato il

settembre 17, 2017

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