Per fortuna che erano invisibili

PER FORTUNA CHE… ERANO INVISIBILI!   1994-07-23

Appena pochi minuti dopo che il veicolo interstellare con mosse alquanto bizzarre andava a catapultarsi, poi balzellare, quindi fare un paio di scomposte giravolte e stravaganti piroette, per finire scivolando attraverso un paio di pollai, di orti, qualche dozzina di siepi, una decina fra piccoli alberi e arbusti… beh! si era quasi appena fermato che, come se non bastasse il baccano e i disastri che aveva combinato, sul luogo si scatenò una vera ordinatissima “invasione di terrestri”.
Mai nessuno avrebbe supposto che tutto potesse andare così perfettamente! Pochi istanti dopo che i radar militari di mezzo mondo avevano avvistato un oggetto non identificato entrare nell’atmosfera terrestre, l’operazione denominata in codice “PES” (Prendilo E Studialo) era scattata e in pochi minuti centinaia e centinaia di uomini e mezzi si erano messi in moto con incredibile velocità e insospettata ef­ficienza. Ci voleva un UFO per far fare agli esseri umani una cosa così in grande stile tutti in perfetto accordo e sincronismo. Peccato però, che malgrado l’apparente intenzione, lo facessero ognuno per il proprio Paese o per l’unità militare di appartenenza; qualcuno aveva infatti cambiato il nome dell’azione in “PET” (Prendilo E Tientelo).
Ora comunque, erano tutti uniti e tutti schierati su un unico fronte: contro quella cosa, o peggio ancora, quelli venuti dallo spazio!
Comunque gli attesi ma non desiderati ospiti, almeno per ora non si facevano vedere.
Sirene ululanti ruppero nuovamente il silenzio, la quiete e i timpani della gente, di quella che era stata una dolce sera primaverile di un tranquillo borgo di campagna. Come d’incanto sopra il luogo dell’atterraggio apparvero grossi e fragorosi elicotteri che con enormi fari bucarono le tenebre giunte da poche ore, mentre velocissimi jet pattugliavano il cielo. E i veicoli sopraggiunti vomitarono a centi­naia soldati e ufficiali ognuno corredato da una grande varietà di armi, il tutto in un unico assemblaggio. E tutti, con stupefacente ordine e velo­cità degni di un film ben diretto, conversero verso il punto dove quella grande cosa bruciacchiata stava ancora sfriggendo e sibilando piano.
La “cosa” era grande, sì, ma lo spazio occupato da tutti quegli uomini e dai loro mezzi lo era ancora di più, così i primi arrivati si fermarono a una certa distanza formando un largo cerchio tutt’attorno, mentre le ondate successive dovettero (con un po’ di rammarico) restare in seconda linea e più indietro ancora.
A dire il vero non formarono un cerchio proprio perfetto, a rompere quella bella visione estetica c’era un cascinale, o un fienile, o qualsiasi cosa quella bicocca fosse. Il veivolo si era fermato lì vicino senza però danneggiarla (ma tanto, quel rudere era già parecchio diroccato per conto suo)
Tutti i mezzi erano arrivati; tutti gli uomini, armi in pugno, erano ap­postati; tutti gli aviomezzi disponibili erano in volo magistralmente (e miracolosamente) intersecando le loro rotte senza scontrarsi. E ora? Ora per procedere ci volevano gli ordini specifici di quei comandanti dal grado elevato che si erano preparati “appositamente” per questo genere di cose.
E gli esperti arrivarono, guardarono, consultarono gli strumenti che avevano portato con sé, parlottarono fra loro… e poi riferirono ai collaboratori, che trasmisero gli ordini agli aiutanti e questi li grida­rono ai subalterni e loro li urlarono ai rispettivi gruppi che comandavano fino a quelli senza nessuna stellina strisciolina o medaglietta appuntata sulla giacca, in un proporzionale crescendo di rumori, suoni, urla; si accavallarono gli ordini in una babele di lingue, pa-role in codice, frasi segrete già pro­grammate e accidenti vari. Mancavano solo “Alzate le vele ” e “Fuoco alle polveri”, ma forse perché si era in mezzo alla campagna e le sole armi che mancavano erano forse gli storici cannoni dei secoli scorsi. Il tutto nel fragore di centinaia di piedi in corsa, di automezzi che si spostavano, di sirene che avevano ripreso a ululare, di luci che sembravano ora puntare direttamente negli occhi di ognuno e di macchinari dall’uso com-pletamente sconosciuto ai comuni mortali.
E così, il caos che fino ad ora si era evitato, scoppiò inesorabile.
Chi correva di qua, chi di là, chi era davanti e doveva tornare indietro, e chi stava indietro e avanzava non volendosi perdere un posto da protago­nista in quell’occasione speciale.
Gli unici fermi calmi e tranquilli, erano gli occupanti del veicolo spaziale. La loro parte di frenetica confusione l’avevano avuta dal momento in cui il loro mezzo, attratto in maniera inevitabile dalla gravità del pianeta che stavano catalogando, dopo quel catastrofico atterraggio (eseguito da alcuni di loro e già adeguatamente redarguiti dal loro coman­dante!) si erano finalmente fermati. Ora osservavano grazie a telecamere poste all’esterno dello scafo quell’assurdo assembramento di persone e attraverso microfoni udivano il baccano che producevano.
Erano un po’ stupefatti, ma cercavano di non darlo a vedere, volendo ognuno di loro sfoggiare la propria (presunta) esperienza da vecchi naviga­tori dello spazio. Anche se vecchi non lo erano di certo! avranno avuto al­l’incirca l’età di quei ragazzi là fuori, che, chi con lo sguardo un po’ allucinato, chi letteralmente ad occhi chiusi (per via di quei fari che continuavano a rimescolare luci ombre e soprattutto stomaci) se ne anda­vano intorno con aria indaffaratissima… facendo niente. In quanto a esperienza poi! Poco mancava che fossero appena usciti dall’accademia! Ba-stava aver visto le manovre di avvicinamento al pianeta e di contatto col suolo!
Beh! a un certo punto qualcuno di quelli fuori arrivò proprio appresso all’astronave e sembrò che quella moltitudine assumesse un’aria un po’ più ordinata e stabile e gli specialisti, consultati ancora gli strumenti, indicato quello che a loro giudizio (incontestabile) era uno sportello, provarono con le dovute precauzioni ad aprirlo.
Avevano sbagliato naturalmente, e ci fu da parte del caos un altro pic­colo tentativo per emergere nelle immediate vicinanze; ma fu subito acquie­tato, ci si apprestava a una ulteriore prova.
Il comandante dell’astronave capì la situazione che si era creata all’e­sterno (lui sì che era in gamba!) e solidale con quei comandanti che lui considerava “colleghi” (era stanco di sopportare i pivelli che formavano il suo attuale equipaggio), premette egli stesso il pulsante che apriva auto­maticamente il portello. Aveva avuto ordine preciso infatti, che in caso di atterraggio avrebbero dovuto comportarsi in modo amichevole, egli aveva dunque aperto lo spor­tello in modo che gli indigeni potessero entrare e guardare studiare con­frontare e fare qualsiasi cosa più aggradasse loro; anche toccare! tanto, senza un suo preciso ordine vocale, nessun strumento si sarebbe messo in moto!
“Quelli di fuori” ovviamente spaventatissimi fecero un balzo indietro quindi, dopo ulteriori grida ordini e imprecazioni, se ne rimasero tutti zitti e immobili ad aspettare che quelli di dentro uscissero.
Ma non accadde niente.
Era successo che alcuni comandanti nel caotico susseguirsi di ordini di­stribuiti a destra e a manca, non avendo affatto considerato che potevano essere uditi e perfino capiti dagli occupanti dell’astronave, avevano urlato cose tipo: Prendeteli vivi! Bloccateli appena escono. Portate quei camion blindati per rinchiuderli. Dobbiamo interrogarli. Veloci. Più piano! Vivisezione? no, almeno fin che sono ancora vivi! Con più cautela. Più presto! Quanti saranno? basteranno i mezzi per il trasporto? Chiudete tutto. Tenete gli sportelli aperti. Armi pronte! Fuori dai piedi tu! Muovetevi con quegli au­tomezzi speciali! Non nell’esatto ordine qui riportato, ma più o meno tutto contemporaneamente accavallandosi e contraddicendosi a vicenda.
Il comandante alieno quindi, era pienamente al corrente di ciò che volevano fare a loro, dato che, una volta tanto, uno dei suoi ragazzi ne aveva imbroccata una di giusta e aveva messo in funzione il traduttore. Aveva ordinato al suo equipaggio di azionare il dispositivo che li rendeva invisibili, e ora con molta calma e disinvoltura se ne scesero uno alla volta e bene attenti a non an­dare a cozzare contro qualcuno per non essere scoperti, se ne andarono in­disturbati dentro quel bizzarro fabbricato che avevano visto lì appresso.
Non trovando nessuno a bordo tutti pensarono che quel veicolo fosse stato teleguidato e ne rimasero alquanto delusi, come se il mancato incon­tro con amici extraterrestri li rendesse molto tristi. E forse era davvero così, oltre a quell’ammasso di strumenti che già presupponevano in­decifrabili, chi avrebbero interrogato studiato e analizzato ora?
Con i giornalisti sopraggiunti nel frattempo si prodigarono in frasi di dolore tristezza e rimpianto per quei “fratelli dello spazio” che ancora non potevano conoscere.
“Ma che ipocriti!!!” pensò il capitano della nave aliena che continuava a seguire tutto ciò che avveniva standosene comodamente seduto cavalcioni sul davanzale di una finestra al piano superiore del casolare, una gamba dentro e una penzolante di fuori. Non si sentiva più tanto amichevole nei confronti di quella gente, anzi, non li considerava assolu­tamente più come colleghi! Assieme ai suoi uomini attese pazientemente e in perfetto silenzio che il loro veicolo venisse guardato e fotografato, poi, qu­ando vide che stavano agganciandolo a degli automezzi evidentemente per trasportarlo altrove, diede ordine di rientrare a bordo.
Zigzagando indisturbati fra i soldati, i tecnici, i giornalisti e tutta l’altra gente rimasta, trasparenti come l’aria rientrarono lasciando dietro di loro tutta quella gente nuovamente nel loro evidente immancabile e amato caos.
E il comandante guardò i “suoi” ragazzi, sbloccando quell’affetto e quella comprensione per la loro giovane età e inesperienza che finora aveva tentato di tenere nascosti dentro di sé.
– Per favore, sono in tanti ora là fuori a guardarci e purtroppo non pos­siamo rendere invisibile anche la nave… prima di avviare i motori, date una controllata al manuale per rinfrescarvi la memoria sulle procedure per un quantomai decente decollo!
E come su tutti i migliori film di guerra e non, disse quella frase che tutti ci si aspetta di sentire:
– Torniamo a casa, ragazzi!

 

Competenze

Postato il

ottobre 16, 2017

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