Carissima Amelia
Voglio sperare che l’influenza passata non t’abbia lasciate conseguenze e che questa mia abbia a trovarti in perfetta salute. Dall’ultima avrai sentito per quale dura prova siamo passate, mi sembra ancora un sogno, l’aspetto come se dovesse ancora ritornare, ma purtroppo!….
Verrà sì, forse l’anno venturo, o da qui a due anni ma per fare una visita come Provinciale indi ritornerà nuovamente in India, probabilmente per più ritornare perché ha anche lei la sua età, passati i sessanta costano simili viaggi!
Mia carissima, ho promesso di scriverti un po’ più a lungo dandoti qualche notizia di qui. Immaginati come abbiamo passate la Sante Feste, mi consolò alquanto la tua lettera, che m’arrivò proprio in tempo. Alla Messa di mezzanotte vennero il sopraintendente ed il dottore con le loro mogli, nota che sono protestanti, ma dicono che simpatizzano per noi cattolici, che il Signore tocchi il loro cuore. In quest’anno c’è un via vai di automobili, anche la posta parte ed arriva con il lory, abbiamo avuto varie visite d’inglesi e francesi che vengono, da Bangkok, a visitare Keng-tung. Quest’anno poi si sposò una figlia del nostro Saboà con uno di quei principotti, sono partiti la settimana scorsa e così son cessate tutte le baldorie che stordivano di giorno e di notte. Vennero a trovarmi varie volte ed ordinarono anche un po’ di lavoro.
Fra le altre novità che potrei darti ve n’è una che credo non ti farà piacere ma conoscerai maggiormente gli usi di qui. Dieci minuti dalla nostra casa vi è la prigione, e noi spesse volte andiamo a trovare quei poveri infelici, portando loro qualche conforto materiale e spirituale, specialmente a quelli che sono condannati a morte. Alcuni mesi or sono due ebbero la triste idea di uccidere due poveri viandanti per derubarli, ma contro ogni loro speranza trovarono che avevano soltanto una rupia. Furono presi e condannati a morte. Arrivò il giorno fatale, alla vigilia, la suora andò a trovarli parlò loro del battesimo, ma non poté darglielo per la moltitudine di gente che andava a vederli, lo fece alla mattina dopo prima che aprissero le prigioni ai curiosi. Uno aveva dormito pacificamente l’altro invece, il più vecchio, aveva paura e domandava qualche veleno. Prima di proseguire però devo dirti le loro usanze. Le condanne a morte sono sempre eseguite in giorno di grande bazar. Il condannato esce dalla prigione alle 8 del mattino e, scortato dalle guardie, passa dal palazzo del Saboà, ove nell’atrio, alla presenza del sopraintendente o di qualche suo rappresentante, le viene indossata una veste rossa e in testa un turbante pure rosso. Le mani legate sul dorso con la medesima corda che deve strangolarlo, i piedi pure stretti da grosse catene, impedendo così all’infelice di camminare un po’ lesto. In questa foggia vengono condotti per tutto il bazar. Precede la sfilata, uno con una specie di tamburo che lo batte ogni tanto dando dei suoni lugubri quanto la morte. Lo segue il capo delle carceri con la spada sguainata, indi le due guardie con tanto di coltellaccio, in mezzo a loro vengono il condannato, poi due sfilate di guardie. A tutti è permesso di dare al condannato quello che vogliono da mangiare e da bere, tanto che la maggior parte arrivano al posto del supplizio già ubriachi.
Ciò premesso ritorno ai miei condannati. In 17 anni non avevo mai assistito a simili scene, desiderai perciò andare. Vennero con me quattro ragazze delle più grandi, andammo al bazar, ma nulla di straordinario. Che sia troppo presto? pensai e stavo per domandare a qualcuno, quando un tan forte giunse al mio orecchio. Immaginati quello che ho provato in quel momento, non son capace di descrivertelo, so che le gambe mi tremarono così da non poter proseguire. Ma volevo pur vederli, dir loro qualche parola d’incoraggiamento e mi fermai, dovevano passare di là. Spinsi lo sguardo in fondo, la gente cominciava a riunirsi, quando in mezzo alla quella folla vidi spuntare i turbanti rossi. Il loro passo era stentato, i lineamenti, specie del più vecchio, sfigurati, nessuno parlava, non si sentiva che il lugubre tan tan. Non guardai fin tanto che furono vicini ma essi m’avevano già veduta e continuavano a chiamarmi, così mi disse il capo delle guardie quando mi sono avvicinata: Dicono che vogliono vederti, che voi suore avete fatto loro più bene che le loro madri. A un mio cenno si fermarono tutti, mi fecero posto sicché potei avvicinare quegli infelici. Cosa dissi loro? Un nodo mi serrava la gola, tremava come una foglia, ben poco potei parlare ma compresi pienamente che feci loro un gran piacere. Dei cinesi offrirono loro sigarette, gazzose ed altre cose, li salutai raccomandai loro di non aver paura e mi allontanai col cuore gonfio, mentre essi continuavano a voltarsi indietro fino a tanto che hanno potuto vedermi. Un’ora dopo tutto era finito, i loro corpi sepolti vicino al posto del supplizio aspettano il giorno della resurrezione e andare per sempre a godersela in Paradiso.
Oh; Amelia carissima, per quanti giorni mi restò impressa quella scena, quando vedevo alcuna ragazza con la vestina rossa, vedevo subito i condannati, ma fortunati loro che hanno voluto il santo battesimo mentre invece altri… Sai? ho un altro fatto ma l’ho serbato per Sergio, al quale scriverò due righe in proposito ai suoi sogni e desideri.
Ho cominciato l’anno nuovo col battezzare una bambina morente, quale gioia si prova nel mandare in Paradiso qualche anima. Pregai inoltre di dare il tuo nome ad un’altra ragazza perché la mutina non posso farla mai pregare, si chiama dunque Amelia una bella birichina icò buona e rispettosa, fa l’impossibile per aiutarmi o farmi qualche favore, è orfana ha soltanto una sorella sposata, fu battezzata a Natale e a Pasqua possibilmente farà la prima comunione avendo press’a poco dodici anni, qui nessuno sa quanti anni ha, ora potrò almeno farla pregare secondo tutte le tue intenzioni e desideri.
Maria e Aldo mi hanno scritto, ho intenzione di mandarle un regaletto per l’occasione, quello che potrò, guarda però che non escluderò te mia carissima, vedrò se mi sarà possibile radunare una cosetta per ciascuno, certo tutti insieme siete un po’ tanterelli, e lasciare indietro qualcuno mi rincresce, speriamo che per allora possa riuscire nel mio intento. Ed ora ti saluto mia carissima, voglio aggiungere qui due parole per Sergio. Ringrazio di cuore i miei nipoti per gli auguri, sperando avranno ricevuto i miei. Salutami tanto Giacometto, che spero occupato, a te poi il più cordiale bacio ed abbraccio dalla sempre tua aff.ma sorella missionaria suor Andreina C.
Ben volentieri ti mando una corona é precisa di quella che adopero io, però ti prego di dirmi qualche Ave Maria. Questa volta mi sembra di aver scritto abbastanza, non è vero? Ho perfino la mano ‘inganfita’ e la testa balorda. Di nuovo ciao, ciao, ciao, ciao, ciao, ciao, ciao, danne uno a tutti……………
Mio carissimo Sergio.
Bella proposta la tua, bella davvero, guarda dunque che t’aspetto qui come cacciatore di tigri, poiché leoni non ce ne sono. Devi sapere però che ce ne sono di due sorta, selvagge ed umane. Di quelle c’è da farne poco conto, ma di queste……. Costano sangue di Gesù e perciò ben degne di essere cacciate. E credi tu che questo lavoro sia soltanto per le donne? No caro, io t’assicuro, che ci sono anche degli uomini e giovani che per la salvezza di queste povere anime consumano la loro vita.
Fatto evidente e recente, l’anno scorso tre di questi baldi soldati, della nostra cara missione lasciarono il campo per il cielo. Ora altri tre sono venuti a rimpiazzarli e, pieni di zelo, hanno già cominciato il loro arduo lavoro. Saranno fortunati nella loro caccia? Dipende dalla grazia e dalla disposizione delle anime. Ti confermerà un esempio, ossia un fatto verissimo capitato proprio a noi. in un villaggio vicino a Keng-tung viveva una di queste tigri ma veramente feroci, tanto che ebbe il coraggio, con un pestello del riso, di fracassare la testa a sua moglie e a un suo bambino di due anni per una inezia. Assicuratosi della morte di entrambi chiuse la porta e sedutosi fuori, pacificamente si mise a fumare. Naturalmente fu preso, legato. Le fecero il processo e fu condannato credo a 15 anni di prigione. Ma il mostro, per dirle poco poiché non aveva neanche il battesimo, non voleva soffrire, domandò perciò d’essere ucciso. Un tipo indegno di stare a questo mondo e fu esaudita la sua domanda. Nel tempo della sua prigionia la suora andò varie volte a trovarlo, le parlò della nostra religione, del Paradiso, del battesimo ma con un sogghigno di beffardo rifiutò sempre, però alla fine sembrava anche un po’ persuaso. Io pure andai una volta ma t’assicuro che avevo quasi paura d’avvicinarmi, le domandai se non aveva paura di morire e lui ridendo m’assicurò che non temeva quella “brutta vecchia senza naso”. La cosa però non era ancora decisa, si aspettava l’ordine del governatore. Una mattina me ne stava pacifica in giardino a guardare i fiori, quando colpì il mio orecchio un lento tan-tan, era giorno di bazar, certamente era quello il segnale per qualche condannato. Non ci vidi più, con il cuore che batteva fortemente, corsi dalla Superiora, essa pure sospetta che fosse arrivato l’ordine per quel tale, e di corsa andammo entrambe a palazzo del Saboà ove era andato per indossare la vesta rossa. Appena ci vide ci sorrise ma d’un sorriso diabolico, l’avvicinammo e le parlammo ancora del battesimo ma con un no deciso disse che non voleva il nostro Paradiso. Che fare in mezzo a tanta gente contro tanta tristezza? Ci allontanammo a malincuore, lo raccomandammo al Signore, forse in parte era responsabile del suo male, una guardia però ci disse: Raramente anche noi troviamo uomini così crudeli. Poco dopo era già morto, giudicato e mandato a sua destinazione ove resterà per tutta l’eternità.
Cosa ti pare, caro Sergio, di questo fatto, non ti sembra che questo infelice fosse peggiore d’una tigre? vedi dunque quanto abbiamo bisogno di bravi cacciatori, perciò sii buono, obbediente, prega e vedrai che il Signore ti aiuterà.
Salutami tanto i tuoi fratelli Nina, Bruno, Emma e Luigina spero stiano tutti bene, ricordami al Signore come giornalmente lo fa la sempre tua aff.ma zia missionaria suor Andreina.
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