BASTA! 1993-02-02
Un urlo di orrore e sgomento si levò dalla porta della cucina… con occhi sbarrati guardai davanti a me: sul pavimento lindo e lucido tanto da specchiarvisi grosse orme si allungavano fino alla porta della camera da letto. Le seguii in uno stato d’animo irripetibile. Quando aprii la porta non sapevo se restarmene muta o urlare ancora…
Mio marito, comodamente seduto sul bordo del letto, con in mano l’ultimo numero della rivista Airone, mi guardava perplesso. Dalle svariate impronte per terra era chiaro che come sua abitudine prima di sedersi aveva passeggiato su e giù per la stanza. Avevo appena finito di pulire. Basta!!!
Lo salva lo squillo del telefono: è una mia amica.
– Ciao! cosa stai facendo di bello?
– Niente!
Silenzio per qualche momento dall’altro capo del filo. – Impossibile.
Già, ferma non sono stata nemmeno quando ero influenzata e avevo la febbre; ma è stata proprio lei a qualificare con quel “bello” le cose cui si riferiva la sua domanda; ci conosciamo da tanti anni e anche lei come me ama fare maglie, magliette, gonne, oggettini e lavoretti di tutti i tipi, e su questo appunto verteva la mia risposta: niente, lavori “belli” non ne sto facendo. Impossibile, ma vero!
– Sai, sto passando un periodo decisamente…- Il mio cervello ha dichiarato sciopero. L’unica parola, inesatta certo, ma che rende perfettamente l’idea è “infruttifero”, e per quanto sprema e cerchi di contorcere le meningi non ne trovo altre.
Mi aiuta lei azzeccando in pieno: – Infruttuoso – ecco! E’ una persona molto cara e mi consola: – Farai comunque qualcosa, e tutto è utile.
Forse! Questa volta taccio io. Utile, sì. Paga la bolletta, fa l’allacciamento di un contatore e distaccane un altro; ritorna dal primo perchè hanno sbagliato tutto… Domani “c’è” un dentista. Il mio? No, uno per le ragazze, ma devo accompagnarle per prendere accordi; il giorno dopo tocca a me. Ho già la tremarella dagli alluci alla mascella. Cerco di sdrammatizzare, ma so che è una mera utopia.
– Come puoi chiamare “qualcosa” un lavoro che appena hai finito devi ricominciare?
Lei capisce senz’altro a cosa alludo. Come hai finito di pulire la casa, rientrano tutti e dopo neanche un’ora sembra tu non abbia fatto niente; stiri, e pensi al bucato che hai appena steso e che sarà bello pronto domani per essere riposto in un ricambio continuo a circolo chiuso; ecc., ecc., ecc. Nella mia routine quotidiana l’unica cosa duratura sono ora gli scatoloni che un po’ alla volta riempio in previsione dell’imminente trasloco e che nell’attesa si am-monticchiano in giro per la casa. Splendidi oggetti di arredamento! comodi, peccato così terribilmente ingombranti!
– Ciao Penelope! – mi saluta l’amica, – ti lascio alla tua tela e speriamo che presto ritrovi il tempo per dipingerla! – e con un risolino riattacca.
Se voleva punzecchiarmi c’è riuscita, ma non ho la voglia di reagire. Mi fermo ancora un po’ per leccarmi le ferite e intanto penso a cosa tocca oggi finire in scatola.
Ma perchè ai miei famigliari serve sempre qualcosa che ho già imballato per benino e che, sono sicura, non adoperavano da anni?
Non ho tempo per rispondermi: suonano alla porta. Sono gli idraulici, al plurale, perché tutti gli operai ai quali abbiamo affidato i lavori, come i carabinieri, lavorano sempre in coppia. “Finiamo in metà tempo” dicono. “E noi paghiamo il doppio!” penso, perché la mia mente è decisamente più veloce di ogni loro gesto visto la tabella delle scadenze che ci hanno dato e i preventivi dei costi.
Risuonano. Hanno bisogno delle chiavi del cancello. Anche di una scala. “Ho mica per caso qualche metro di spago?… Anche qualche giornale?” Si legano forse alla scala per costringersi a leggere e far passare così più tempo? In previsione porto giù tutti giornali vecchi, almeno si annoiano con notizie passate!
“Quest’anno ho avuto la cinese.” “Io l’anno scorso la filippina.” Collaboratrici domestiche? No, forme febbrili di tipo influenzale. Anch’io sono in uno stato febbrile, di tipo “abitazionale”, più precisamente “traslocale” Non è una malattia contagiosa (anche se in genere accomuna tutta la famiglia), ma molto fastidiosa e costosa da far guarire, e con prognosi (nelle manifestazioni più gravi) anche di diversi mesi. I sintomi sono di tipo “elettricite” con “idraulicosse”. Può portare un malessere spesso anche “muralioso”, specie se accompagnato dalla “piastrellazione”, dove ti contano le piastrelline” e te le fanno pagare care!
Penso che il mio malumore mi porti diritta verso la strada della cattiveria. E pure di corsa! sono tutti ottimi lavoratori che conosciamo da anni (e non li paghiamo a ore).
La peggiore sono io, e mi consolo pensando che l’essermene accorta mi sta riportando già indietro sulla “buona strada”. Ritorno giusto in tempo per ricevere un’altra telefonata:
– Mamma, stamattina ho dimenticato di dirti di prendermi, per favore, … – e parte una lunga lista di compere.
No! non vado a fare la spesa! non esco, no! non posso! Ci sono gli idraulici, i muratori, gli spazzini; i revisori delle tasse; quelli per il controllo del gas, della luce, e tutti gli altri che ti possono venire in mente! Ho freddo. Ho la febbre. Alta! Il mal di denti, alle braccia. Anche i calli! NO, non voglio fare anche la spesa!
Mamma mia. Mi è scoppiata una crisi di cattiveria acuta o sono impazzita?
“Basta!” dico a me stessa, “pianto tutto!” Ma non ho un vaso abbastanza grande.
Mi riduco nel mio mondo piccino a sedermi al tavolo davanti a un foglio bianco. Scriverò certo un’ennesima sciocchezza, ma so già che alla fine il “temporale rabbioso” che stava per scoppiare in me si sarà scaricato, e sotto un cielo tornato azzurro riprenderò… a stirare? no, meglio prima lavare. No, accidenti, devo cercare quelle carte che… La spesa!!! Dove avrò messo la lista che mi ha dettato mia figlia per telefono?…
Basta!!!
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