Concorso Letterario Internazionale “Samhadi” 2003 / finalista
ATTENTI A NON CHIEDERE TROPPO 1992-03-01
Era una formichina piccina piccina, ma molto graziosa! I lineamenti del suo musino erano deliziosi e il corpicino minuto e snello suscitava l’invidia di tutte le sue compagne. Per la sua bellezza era fra le più corteggiate fra le formichine che vivevano nel campo incolto situato alla periferia della vecchia città.
Aveva però un brutto carattere, era vanitosa e superba; amava starsene a oziare tutto il giorno sotto il tiepido sole primaverile e odiava ogni tipo di lavoro, che trovava faticoso e umiliante. Era sempre triste e immusonita, tanto da contagiare tutti coloro che le stavano attorno; a chi la redarguiva, rispondeva in malomodo; brontolava sempre e trovava da ridire su tutto. Non era certo simpatica a nessuno! così un giorno, la regina del formicaio la mandò a chiamare:
– Si può sapere cos’hai? Devi lavorare come le altre, o che farai quest’inverno?
– Che ci posso fare io? – disse la formichina per niente intimorita davanti alla sua sovrana, – sono troppo piccola, le mie zampine sono fragili e delicate, il mio corpicino minuto è più adatto a essere ammirato che a fare dei lavori pesanti! Sono nata così, non è colpa mia! – soggiunse, quasi a scaricare su Madre Natura la colpa della sua pigrizia. – Certo che se fossi un po’ più grande tutto sarebbe diverso! mi stancherei di meno, quindi potrei fare di più! – Come se ora facesse qualche cosa! La regina, spazientita per il pessimo modo di comportarsi e per il cattivo esempio che dava al resto del formicaio, dopo averci riflettuto un po’ le disse:
– Se crescere è quello che vuoi, esiste un modo perché ciò possa avvenire. Al di là del campo dove viviamo, attraversata la larga strada, c’è il mondo degli umani. E` un posto di periferia, trascurato e sporco, l’ho sentito descrivere dalle rondini che chiacchierano tra loro quando passano in volo. Lì, in un angolo tra due vecchie e decrepite case, in mezzo all’immondizia, c’è un barattolo di latta che sembra una normale lattina vuota, in realtà è la dimora di un essere magico. Se lo trovi, E DEVI TROVARLO! – aggiunse in quel tono perentorio che non ammette repliche che solo le regine sanno usare… – lui senz’altro ti aiuterà.
Un ordine simile, dato con quel particolare tono, non si poteva ignorare, e così la formichina, anche se molto controvoglia, di malumore più che mai si mise in cammino.
Era DAVVERO molto piccola, così, per attraversare il campo, impiegò molto tempo e molta, molta fatica. Dovette scavalcare ostacoli, guadare le pozzanghere tenendosi aggrappata a piccoli pezzi di foglie, fare attenzione a non restare invischiata nelle tele dei ragni che sembravano essere dovunque, e superare ancora cento e cento difficoltà; ma finalmente arrivò al limite del campo. Ora la strada…
Lì non c’erano grossi rami che intralciavano il percorso, o animali in agguato… ma le auto degli umani!!! Che mostri giganteschi! Certo era stato ORRIBILE arrivare fin là, ma ora era a dir poco TERRORIZZANTE. Fu TERRIBILE! Ma passò anche la strada. Avendo tenuto bene a mente le indicazioni non le fu difficile trovare le vecchie case, ma non si sarebbe mai immaginata una simile sozzura! Ora le sue povere zampine, già terribilmente stanche, avrebbero dovuto camminare in mezzo a tutto ciò! Oh, come s’era pentita di aver ubbidito alla regina! Per fortuna, un piccolissimo topolino che abitava in quei paraggi le indicò subito la lattina giusta… Ma ora? Sembrava vuota! Era proprio quella la casa del genio? e, se sì, come si faceva per farlo uscire?
Provò con un: – Ehi! tu che stai là dentro. – Ma non uscì nessuno. – Ehi, genio! – Nemmeno! Passò pure ai toni più umili: – Signore, c’è qualcuno in casa? – Ma non successe niente.
Oh! Accidenti, accidentaccio! Dopo tanta fatica, tanto sporco. Che umiliazione!
All’improvviso ricordò una cosa che le cicale avevano cantato per lungo tempo, ripetendo il ritornello più volte. Il canto narrava di un certo Aladino, che strofinando una vecchia lampada magica ne faceva uscire il genio che vi abitava. Chissà se la cosa andava bene anche per le vecchie magiche lattine di bibite vuote ed ammaccate. Non restava che provare.
Funzionò!!! Dall’interno, una voce assonnata disse all’improvviso:
– Che vuoi? – A dire il vero non se lo aspettava, e facendo un balzo indietro per poco non cadde in un ammasso di puzzolenti avanzi di verdura…
Ripresasi, la formichina cominciò col tono più umile che riuscì a trovare (anche se per la verità era assai poco!) a narrare del suo avventuroso viaggio, della sua tristezza per essere una così piccola formica e dover lavorare stancandosi e del suo desiderio di crescere almeno un po’, per faticare meno!
– Va bene! – disse molto sbrigativamente la voce dalla lattina – Vai!
Vai? Tutto qua? E la magia? Basta, basta! l’umiliazione era già stata anche troppa per il suo carattere. Quasi piangeva dalla rabbia e dalla frustrazione, ma mai avrebbe permesso a qualcuno di vederla in quelle condizioni, nemmeno ad un genio, per giunta scorbutico e maleducato. Nel girarsi però, notò che le cose attorno a lei sembravano notevolmente rimpicciolite, e rifare il percorso fra l’immondizia era meno faticoso.
Ma certo! non erano le cose ad essere rimpicciolite, ma lei ad essere cresciuta!
Senza ricordarsi né di ringraziare né tantomeno di salutare il genio della lattina, lasciando a bocca aperta dallo stupore il topolino che si era fermato a guardare, si affrettò nella strada del ritorno, tutta felice e imbaldanzita nel sentirsi così forte e, perché no! vogliosa di arrivare al più presto possibile al formicaio per farsi ammirare di più e suscitare l’invidia di quelle sue sciocche compagne. Come le sembrava tutto diverso, com’era tutto più facile.
Rifece l’intero percorso in meno di metà tempo ma, malgrado la fretta, non trascurò di fermarsi all’ultima pozzanghera presso il formicaio. Si sciacquò via per bene tutto il fango e lo sporco accumulato durante il viaggio, strofinò tutto il corpicino e il musetto con il petalo di una minuscola violetta per profumarsi, e poi si ripresentò alla regina passando a testa alta e con aria da gran dama fra le sue stupitissime compagne.
Che soddisfazione! Fu ancora maglio di come se l’era aspettato; perfino la sovrana le sorrise con aria benevola mentre fra sé pensava: “Ce l’ha fatta! Se non altro, dove le fa comodo, sa tirar fuori volontà e capacità.”
Ma, ahimè! se era cambiato il suo aspetto, non era per niente cambiato il suo carattere. Anche se ora era notevolmente più alta e robusta di ogni altro esserino della sua specie, se le sue zampette erano più forti e poteva faticare meno di chiunque altro, la sua pigrizia e la sua vanità le impedivano ancora di adempiere ai lavori e ai doveri che ogni formichina per bene è tenuta a fare. Lei si rimirava ogni mattino nelle gocce di rugiada posatesi durante la notte, e se ne stava poi tutto il giorno sdraiata al sole, aspettando i complimenti degli ammiratori, ascoltando con aria noncurante i brontolii delle compagne e i rimproveri della regina.
Era ancora la più bella, e ora era anche la più grande e la più forte, era dunque la più importante del formicaio, perché stancarsi quando le altre potevano farlo per lei? perché sporcarsi e sciupare la sua avvenenza?
Non aveva preso a lavorare, ma non aveva nemmeno smesso di brontolare: sul cibo, sul clima, sui rumori, sul frinire delle cicale (dimenticando quanto le fosse stato utile un loro racconto) e soprattutto sullo spazio attorno a lei che, in quelle sue nuove dimensioni, trovava ora enormemente ristretto.
– Se solo fossi un po’ più grandina, sarei in grado di costruirmi una casetta tutta mia, lontano da queste noiose e la loro irrefrenabile frenesia che sempre le agita. L’arrederei con gusto e inviterei chi mi pare, chi, sia d’estate che d’inverno, potesse rallegrarmi e portare cose buone per ringraziarmi della mia ospitalità, così non dovrei nemmeno lavorare per procurarmi il cibo.- Questo pensiero ricorrente le piaceva sempre di più, così, dopo un ennesimo rimbrotto da parte dell’odiata regina, spintonando in malomodo chiunque si trovasse davanti a lei, uscì nuovamente (e per l’ultima volta) dal formicaio e intraprese il percorso verso le case degli umani.
Anche se faceva molto meno fatica dell’altra volta, il percorso le parve ugualmente interminabile e irto di difficoltà. Brontolò per tutto il tragitto fermandosi di frequente a riposare e litigando spesso con coloro che incontrava lungo il cammino.
“ Quando sarò più grande” pensava tra sé dando per scontato che ciò doveva avvenire, “farò vedere a tutti chi sono io! Sarò ancora più amata e corteggiata; a questi esseri spregevoli non dedicherò nemmeno il più insignificante dei miei pensieri. Costruirò la mia casa nel posto più bello del campo, più vicino alle case degli umani così capirò il loro mondo e copierò il loro modo di vivere; imparerò tante cose e sarò così ancora migliore. Sarà tutto diverso e meraviglioso!” Questa volta le fu facile ritrovare la lattina e sapeva già come fare per chiamare il genio, e appena il suo vocione si fece udire, senza tanti preamboli gli disse:
– Voglio essere più grande! Non posso continuare così!
– Ne sei proprio sicura? – le disse il genio con un tono scettico che l’indispettì non poco. – Va bene! Vai! – concluse.
Ancora una volta senza ringraziare né salutare, la formica, diventata ormai di notevoli dimensioni, ripercorse a ritroso il percorso già fatto: ridiscese il cumulo di immondizia, riattraversò la strada, si inoltrò solo un pochino nel campo e quindi si fermò per costruire la sua nuova casa. Il posto, quando era piccina piccina, le era sembrato ASSOLUTAMENTE MERA-VIGLIOSO. C’era un cespuglio che con la sua ombra l’avrebbe riparata dal cocente sole estivo, ciuffi di erbette verdi fra i quali crescevano radi ma profumatissimi fiorellini, e la pozzanghera lì accanto era per lei come un immenso lago sul quale si sarebbero affacciate le finestre. Era stato tutto così chiaro e preciso… Ma ora!
Era successo infatti che, arrivati quasi a metà dell’autunno, tutto attorno si era tramutato: non pioveva da vari giorni, il cespuglio, l’erba, i fiori, tutto era rinsecchito e brutto; la pozzanghera si era da tempo prosciugata e il terreno era duro come pietra, difficilissimo da lavorare. Per lei poi che ai lavori pesanti non era assolutamente abituata!
Si rese conto che amici lì non ne aveva, anzi, ogni altro animale, spaventato dalla sua innaturale proporzione, invece di ammirarla e adularla se ne teneva lontano. L’inverno si profilava all’orizzonte sottoforma di cieli grigi e notti sempre più fredde; cibo da parte come scorta non ne aveva; rimpiangeva perfino le cicale, che ora le avrebbero almeno fatto un po’ di compagnia. Quanto agli umani poi! Quelli passavano veloci lungo la strada sulle loro automobili e in tanti giorni non ne vide da vicino nemmeno uno; e per quanta volontà avesse adoperato (almeno all’inizio) la casa non le riusciva proprio di costruirla.
Si rammaricò, brontolò, si adirò; poi non le fu difficile arrivare all’ovvia conclusione di ricorrere ancora una volta dal genio della lattina.
Non ancora del tutto abituata alla sua mole, questa volta, strofinando vigorosamente, ammaccò ancora di più la vecchia latta già molto rovinata e, sempre più sgarbata, si rivolse al genio:
– Voglio direttamente una casa già pronta: grande, calda, piena di suoni e colori. Cibo sempre abbondante, compagnia nuova e interessante. Voglio essere ammirata e trattata in modo speciale.- Stava quasi per andarsene quando si ricordò di una cosa, e girandosi appena aggiunse: – …e voglio conoscere gli umani!
E se ne andò definitivamente senza nemmeno aspettare il solito sbrigativo “Va bene!” del genio, sicura che ogni suo desiderio sarebbe stato esaudito.
Ma restò interdetta, delusa e naturalmente molto arrabbiata quando, riattraversata la strada, si accorse che vicino al cespuglio rinsecchito non c’era nessuna casa.
“Sarà senz’altro in un posto migliore” si disse, e cominciò a girare attorno per cercare.
CAP. II
Lei e l’uomo si videro quasi nello stesso momento e rimasero entrambi con la bocca spalancata per lo stupore.
Malgrado fosse ora ENORMEMENTE grande per essere una formica, quell’umano le pareva un essere veramente gigantesco. Era un uomo ancora giovane, molto alto e magro; il viso lungo e gli occhiali che sembrava avessero scambiato il suo naso affusolato per uno scivolo e che lui riportava su con un gesto ormai istintivo; si aggirava per il campo dinoccolato e con aria astratta.
In realtà, egli era attentissimo a tutto ciò che vedeva. Era uno studioso di fama internazionale, e non ci volle più di una frazione di secondo perché si rendesse conto che quella creatura che gli stava davanti era una cosa eccezionale. Con molta cautela e precauzione le si avvicinò, molto lentamente la prese e la depose in una scatola che aveva con se.
Ma la formica non aveva proprio nessuna intenzione di scappare, tutt’altro. Stava conoscendo un umano, e senza dubbio l’avrebbe portata nella nuova casa. I suoi desideri stavano avverandosi. E fu così infatti. Lo studioso, impressionato più che mai dalla mole della formica, la portò direttamente nel laboratorio per studiarla in modo approfondito.
Ecco! Tutto ciò che aveva chiesto ora, doveva ammetterlo, lo aveva ottenuto…
L’uomo aveva deposto l’animale in un grande contenitore che vagamente tentava di riprodurre un formicaio. Tutto attorno, altri animali di varie specie e dimensioni stavano sulle loro “case” e potevano essere considerati una compagnia certo varia e interessante; i loro richiami e le loro grida riempivano l’ambiente di suoni che andavano ad aggiungersi a quelli prodotti da uno stereo perennemente acceso, dal quale l’uomo ascoltava in alternanza a seconda dei suoi impegni, musica o registrazioni di versi di animali, in una cacofonia di rumori da far quasi vibrare i muri. L’ambiente era caldo e molto luminoso (anche se in modo artificiale) i colori erano molti, fra animali vivi, modellini, foto alle pareti; e in quanto al cibo, non le mancava di certo, essendo l’uomo attento che la sua preziosissima scoperta non morisse di fame.
Ma non era così che lei voleva quelle cose. Era ammirata, oh, sì ! eccome! Da ogni parte del mondo venivano per vederla! Ma era prigioniera di quell’uomo e del suo ambiente, veniva in ogni momento osservata, studiata, analizzata. La fotografavano in ogni posizione, la passavano attraverso strane orribili macchine, senza mai tener conto delle sue esigenze e della sua volontà; doveva sempre essere a disposizione dello studioso e dei suoi aiutanti.
Aveva ottenuto tutto ciò che voleva, sì, ma la sua vita si stava trasformando in un vero incubo. Provò a protestare, a brontolare; poi passò a urlare e a piangere in maniera che una volta avrebbe considerato molto disdicevole per la sua dignità… ma fu tutto inutile, anzi, venne tutto scambiato per un ulteriore motivo di studio.
Colmo dell’ironia, quell’uomo veniva considerato un vero “genio”, e questa nuova scoperta faceva accrescere ulteriormente il suo prestigio. Ora doveva ovviamente studiarla a fondo e cercare di capire il perché di una simile strabiliante, enorme, innaturale crescita. In un primo tempo aveva pensato a radiazioni e il luogo dove era stata trovata fu passato e ripassato da componenti del suo staff e da uomini dell’esercito con macchine speciali. Visto ogni esito negativo, si stava ora cercando ogni altro tipo di analisi e soluzione.
E il genio della lattina? Durante i controlli effettuati avevano rilevato da quelle parti delle strane segnalazioni, ma non ne identificarono né la provenienza esatta né la loro natura specifica. E chissà! forse avrà cercato un altro posto e un’altra casa anche lui. Di vecchie lattine vuote, ce ne sono un’infinità ovunque!
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