COME PIOVEVA! 1993-01-09
Era una giornata primaverile, non troppo bella forse, ma niente poteva far prevedere il tempaccio che sarebbe arrivato. O almeno, io la ricordo così.
Come ogni venerdì pomeriggio mi ritrovo con circa una decina di persone per la settimanale lezione di italiano; “laboratorio di scrittura”, la chiama il professore che con tanta sopportazione ascolta le nostre chiacchiere, cerca di stimolare le nostre addormentate menti e corregge i nostri “poemi”. E’ anche un modo piacevole per ritrovarci fra persone amiche, scambiarci opinioni e idee, e certo anche per imparare qualcosa sulla nostra trascurata grammatica e sintassi.
Ci ritroviamo a lezione dunque e fra una lettura e un commento come al solito il tempo trascorre veloce. Sarà passata circa un’oretta quando cominciamo a sentire i primi brontolii del cielo. Poca roba, un temporale lontano. A poco a poco però, la faccenda comincia a preoccupare, dal cielo è sparito il sole e grossi nuvoloni neri ne hanno usurpato il posto; il rimbombare dei tuoni si fa sempre più forte e il vento scompiglia gli alberi del giardino della scuola nella quale ci si incontra.
Usciamo, ed è facile capire che un grosso temporale ci sarebbe scoppiato sulla nostra testa entro breve tempo.
La mia amica Ardelia e io facciamo per un pezzo la stessa strada, ci incamminiamo quindi assieme veloci verso casa; ma non facciamo più di qualche passo quando grossi goccioloni di misura sproporzionata cominciano a precipitare giù con violenza. Camminiamo sempre più svelte ma inevitabilmente finiamo dentro un bar per ripararci da quello che dapprincipio sembrava solo un “grosso” acquazzone. E’ questo un vocabolo per definire una pioggia molto abbondante, con un suffisso accrescitivo (se non ricordo male); ma in questo caso non basta, per descrivere il torrente d’acqua che si riversa dal cielo bisognerebbe inventare un termine accrescitivo “maggiorativo” superlativo tutto assieme e con tanti -ivo ancora. Diluvio, forse, è quanto nel nostro lessico corrente più si avvicina a rendere l’idea che abbiamo in questo momento (anche se normalmente lo associamo ad altri avvenimenti). Visto che sembra non avere assolutamente l’intenzione di smettere, stanche di aspettare e consapevoli dell’av-vicinarsi dell’ora di cena, decidiamo dopo un po’ di uscire. “Raggiungiamo i portici qui vicino, adesso cesserà senz’altro” ci diciamo. Macché! sbagliatissimo! quattro passi e siamo già fradice, non solo, quella cascata continua a riversarsi sulle nostre teste e ora scorre incontrollata sotto i nostri piedi anzi, per essere precisi, attorno alle nostre caviglie poiché, essendo i tombini intasati, sta trasformando le strade in vere corsie d’acqua.
Il vento, molto freddo malgrado la stagione avanzata, ci appiccica gli abiti addosso; mi corrono lungo la schiena lunghi brividi che accompagnano le gocce gelide che riescono a passare dentro il colletto. “Io vado a casa!” dico ad Ardelia, “se resto qui, bagnata e al freddo, minimo mi busco una “broncopolmopleure” e tanto, più fradicia di così! almeno prima arrivo prima mi asciugo.”
Sono queste più o meno le parole con le quali giustifico la mia pazzesca decisione. Lei è d’accordo con me, forse non fermandosi a soppesare la mia momentanea mancanza di saggezza, o forse ha anche lei un momento di follia.
Ardelia e io abbiamo molti punti di vista in comune, può darsi che abbiamo entrambe preso la cosa come una piccola avventura. (Imperterrite contro il maltempo che infuria!!!) E così ci avviamo per la nostra strada.
Strada? Quale? Dove? Tutto è sparito sotto l’acqua anzi, ne è immerso visto che, data la spropositata massa di pioggia, è quasi come camminare attraverso un muro liquido. No, non credo di aver reso bene l’idea poiché un muro è fisso, statico, questo invece è un qualcosa che precipita con cattiveria scagliandosi su tutto e tutti. Tutti? Sbagliato ancora, sulla mia strada ci sono solo io. (Sola nella bufera!!!) Potrebbe essere un titolo da romanzone dell’ottocento, e invece è proprio una frase molto attinente. Che roba! Quando comincia a grandinare poi…
Arrivo a casa, e ho l’aspetto dei panni tirati fuori dalla lavatrice senza averli passati in centrifuga.
Imperterrita sotto gli sguardi esterrefatti di mio marito e delle mie figlie vado diritta nel bagno. Dietro di me lascio un scia.
“Non ti sei fermata ad aspettare che smetta almeno un po’?” mi chiedono. “Perché?” rispondo io, “E’ solo acqua!” ed entro direttamente nella vasca, vestiti e tutto, per raccogliere “quell’acqua” che continua a uscire da ogni mio indumento.
Dopo una decina di minuti telefona Ardelia: “Volevo sapere se sei riuscita ad arrivare a casa incolume.” E come no!?! E sinceramente, detto tra noi, come mi sono divertita!
Dalla televisione apprendiamo poi che è stato un vero e proprio nubifragio con tutte le carte in regola, con alberi caduti, allagamenti, incidenti ecc.
E’ passato quasi un anno e ogni tanto il ricordo di quel pomeriggio torna nei nostri discorsi: “Lo rifaresti?” “ Certo! E poi dimmi, in quale altra occasione potresti nuotare stando in piedi?”
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