Emulando Esopo

EMULANDO ESOPO   

         Ero andata a trovare la mia amica, quella che ha quattro figli, uno più pestifero dell’altro. Impossibilitati a giocare nel parco per un im­provviso quanto inopportuno acquazzone, i ragazzini non avevano trovato niente di meglio da fare che buttare la casa a soqquadro. Avevo trovato il giorno giusto per quella visita! e dire che avevo aspettato apposta che po­tessero essere fuori casa per chiacchierare tranquillamente con Sara!
A un certo punto, visti vani tutti i tentativi per acquietarli, bloccando nel bel mezzo una “rincorsa con scivolone finale”, furono tutti spediti nel cinema più vicino dove (ringraziando tutti i patroni delle amiche in visita) davano uno di quei terribili film dell’orrore che tanto piacciono ai ragazzini. L’illusione di un po’ di tranquillità durò ben poco poiché il più piccolo fu subito escluso dal divertimento:
– Tu no, sei troppo piccolo! se vieni, stanotte non ci farai dormire con i tuoi incubi!
La baraonda che seguì non si concluse nemmeno dopo l’uscita da casa dei tre “grandi”; quello rimasto infatti, proseguì da solo la sua sceneggiata strillando e dibattendosi per tutti.
Sara a questo punto dava segni di esasperazione dirompente.
– Va a preparare un buon tè, tanto con lui è inutile parlare! – suggerii alla mia amica.
Punto sull’orgoglio il piccoletto mi si piazza davanti affrontandomi con cipiglio da vero adulto:
– Non sono io! Sono quegli altri che non capiscono! Mi trattano male per­ché sono il più piccolo. E basta! – E non riuscendo a trattenersi oltre scoppia in singhiozzi quasi di autentico dolore.
– Non è giusto, lo so, ma non te la prendere. Purtroppo è sempre così, i più piccoli non vengono mai considerati, anche se qualche volta sono mi­gliori degli altri! – Il bambino ora mi guarda serio serio smettendo per qualche momento i singulti. – Hai mai sentito parlare di Esopo e delle sue favole?
– Le favole sono cose da bambini piccoli – fa lui.
– Niente vero! Le raccontava ai grandi. Addirittura al suo re! – e con queste parole ho attirato proprio tutta la sua attenzione.
– Dunque, – comincio tirandolo a sedere sulle mie ginocchia – Esopo era uno schiavo greco piccolo di statura molto brutto e storpio, ma sapeva in­ventarsi delle favole bellissime con gli animali facendoli muovere e par­lare come delle persone. Era tanto bravo che il re non gli fece fare più i pesanti lavori da schiavo ma lo tenne vicino a sé perché gli raccontasse le sue storie. Una anzi, parla proprio di una importante gara vinta dal più piccolo degli uccelli.
Ora, io non ricordo più se la favola che ho sentito tanti tanti anni fa era proprio di Esopo, ma era comunque nel suo stile e in quel momento avrei fatto o detto qualunque cosa pur di far interrompere quell’incredibile ef­flusso di lacrime.

II°        Tantissimo tempo fa, in un paese che non esiste più, gli animali ave­vano una grande abbondanza di cibo e di posti per vivere bene, così, non avendo molto da fare si annoiavano moltissimo. Per passare il tempo si in­ventavano ogni tipo di giochi, di gare e di scommesse: chi è più bello, chi il più forte, il più veloce e così via.
Un giorno gli uccelli si chiesero chi fra loro potesse volare più in alto.
– L’aquila! – dissero alcuni.
– Il falco! – dissero altri!
– Io! Io! Io! – si udì da tutte le parti.
Ovviamente si organizzò subito una gara e le scommesse cominciarono.
Un po’ in disparte un gruppetto di uccellini assistevano sconsolati ai preparativi. Essi appartenevano alle specie dalle dimensioni più piccole, non avevano colori sgargianti, non erano particolarmente veloci o resi­stenti al volo; si sentivano delle perfette nullità e pensavano che mai nessuno di loro avrebbe vinto in una qualsiasi competizione.
– Non è giusto! – disse a un certo punto un uccelletto piccolo piccolo col piumaggio grigio cenere e bruno. E poi… – Scommettiamo che vincerò la gara di domani?
I compagni è ovvio un po’ lo presero in giro, un po’ lo sconsigliarono anche solo di tentare quell’impresa per lui naturalmente impossibile, ma l’uccellino se ne andò sorridendo e salutando gli amici con un “ci vedremo domani” che era tutto un programma.
Il giorno dopo lo spazio di gara era tutto in fermento. Fra i partecipanti c’era chi batteva le ali per scaldare i muscoli, chi svolazzava qua e là per distendere i nervi; ascoltarono i consigli dei vecchi più esperti e mangiarono bacche ad alto potere energetico per avere più forza.
Finalmente fu dato il via e tutti si alzarono in volo. Chi partì da terra, chi dagli alberi o dai dirupi sui quali si erano appollaiati; alcuni puntarono direttamente verso il cielo, altri presero a compiere ampi giri portandosi gradatamente sempre più in alto. Ognuno poteva scegliere la tecnica che più gli era congeniale, non c’era nessuna regola né restrizione, con­tava solo arrivare più in alto. I piccoli uccelli erano sgomenti, non avevano visto il loro amico da nes­suna parte.
– Avrà avuto paura!
– L’avevo detto io che era assurdo!
– Era ovvio!
– Avrei scommesso che non sarebbe venuto! – e via di questo passo, i loro commenti erano tutti su questo tono.
Beh, gli uccelli in gara si erano spinti fino al limite estremo delle loro possibilità, poi, uno alla volta, si erano dovuti arrendere e ritornare a terra; alla fine ne rimasero in gara solo quattro che sorpassata la cima delle montagne e le nuvole più alte si perdevano nell’azzurro del cielo e sembrava quasi potessero toccare il sole. Anche i giudici di gara che si erano appostati quanto più in alto era loro possibile, ora stentavano a vederli!
Poi un gareggiante non ce la fece ad andare oltre e ritornò verso terra. Rimasero in tre, poi in due, e infine restò solo una grandissima aquila reale.
– Ho vinto! Ho vinto! – urlò. Ma nel momento in cui si apprestò a di­scendere a sua volta, udì un trillo gioioso:
– Nemmeno per sogno! Io sono più in alto di te!
Sgomenta guardò in su e… sì, sbattendo le alucce a più non posso, un minuto uccellino stava proprio sopra di lei. L’aquila fece un ulteriore tentativo per riconquistare il primato ma era giunta al suo limite massimo, fu costretta a desistere e ad ammettere la sua sconfitta. Ma come era po­tuto accadere?
Una volta ritornata a terra il mistero fu subito svelato dalla spontanea confessione pubblica del vincitore: pochi attimi prima della partenza egli si era piazzato sul dorso dell’aquila che, date le sue minime dimensioni e il peso ridottissimo, non si era accorta di niente. Ben aggrappato alle sue piume si era goduto tutto il viaggio e all’ultimo momento, bello fresco come un bocciolo di rosa all’alba, con un minimo sforzo si era portato più in alto del suo ignaro portatore vincendo così la gara.
– Bravo! Bravissimo! – gridavano tutti i piccoli uccelli.
– Imbroglione! – urlavano alcuni.
– Non è giusto! – brontolavano altri.
I giudici erano nell’imbarazzo totale!
– In fondo però, – ammise anche se un po’ a malincuore l’aquila – non era stata posta alcuna regola, e devo riconoscere quindi che lui dopotutto era più in alto di me.
– Amica aquila, – disse a questo punto l’uccellino – scusa se mi sono ap­profittato di te; non mi importa poi tanto di vincere, volevo solo dimo­strare che in un modo o nell’altro potevo farlo. La vittoria spetta a te. Per me comunque possiamo inventare un altro premio: quello per il più furbo.

Competenze

Postato il

agosto 30, 2016

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