Gita al rifugio Galassi

GITA AL RIFUGIO GALASSI   1991

Ieri abbiamo guardato per l’ennesima volta un filmino registrato alcuni anni fa in montagna. E’ bello rivedere quei posti meravigliosi e divertente notare il cambiamento avvenuto nelle nostre figlie e in quelle degli amici che erano con noi.
E’ strano come una scena ripresa tanto tempo prima possa far rivivere le stesse emozioni provate nel momento in cui sono state fatte.
Si riprendeva tutto ciò che era possibile e ieri rivedendolo, sembrava di sentire il profumo del sottobosco; udendo il rumore dei ruscelli ricordavamo l’acqua gelida; abbiamo rivissuto la gioia di correre sui leggeri pendii ricoperti di prati o di vogare in barchetta sul lago. Avevamo il gusto dei mirtilli in bocca e quella sensazione speciale che ti allarga il cuore.
Da ragazza ho sempre frequentato il Lido di Venezia e in montagna ci sono andata pochissime volte e sempre fermandomi in qualche paese a valle, ho scoperto che soffrivo terribil­mente di vertigini proprio durante queste escursioni ai rifugi.
La salita (pur restando ultima della fila) non andava troppo male, ma una volta arrivati… cominciava il dramma del ritorno. Le prime volte la cosa era stata sì traumatica, ma il males­sere che provavo lo addebitavo all’inesperienza, e non guardando mai attorno in qualche modo arrivavo giù. Lo spettacolo visto in cima valeva qualsiasi sacrificio.
Ma un giorno progettammo di salire al rifugio Galassi dalla parte di Calalzo, fermarsi a mangiare al rifugio stesso, oltrepassare la forcella circa trecento metri più su e discendere dalla parte di San Vito. Un bel percorso!
Avevamo previsto che la salita sarebbe stata lunga ma non tenemmo conto delle soste. Lo splendido paesaggio lo esigeva e così, un po’ per volta, la nostra marcia si è prolungata di diverse ore; ma niente paura, imperterriti abbiamo proseguito trovando anche il tempo per sederci su un piccolo pianoro sulla forcella a urlare stonatissimi canti di montagna, tutti allegri e baldanzosi, meno io, che mi ero accorta che la discesa si doveva percorrere su uno strettissimo sentiero ripido e a strapiombo su un ghiaione.
Ed è stato lì, più ancora che per le fatiche precedenti, che ho cominciato a sudare e malgrado il caldissimo sole a picco a quasi tremila metri e nel primo pomeriggio, io sudavo freddo!
Per non passare per guastafeste sono ripartita senza dire niente a nessuno, ma che qualcosa non andava l’hanno capito subito tutti, non solo restavo sempre più indietro, ma ciò che provavo me lo potevano leggere chiaro in faccia.
Le ginocchia hanno cominciato a tremarmi. Nessuno trovava qualche difficoltà su quel percorso, nemmeno le bambine; l’unico intoppo ero dunque io, così decidemmo che tutto il gruppo si sarebbe portato avanti con la propria veloce andatura ed io, con mio marito che naturalmente si era rifiutato di lasciarmi sola, a passo di lumaca li avremmo raggiunti. A un certo momento però, la paura si trasformò in terrore, tanto forte da bloccarmi completamente.
Per fortuna eravamo già soli perché mi sentivo davvero un vermicello; non potevo guardare da nessuna parte, né ragionare, né quasi respirare; non avrei mai pensato di poter provare una cosa simile, il mio era un vero e proprio grande dolore fisico! Dopo qualche minuto (e un forte sfogo di pianto), consolata dalle parole di mio marito e soprattutto dalla sua promessa che, una volta raggiunti gli altri, li avrebbe mandati a chiamare un elicottero della guardia alpina a prelevarmi, un piccolo passo alla volta sono riuscita a muovermi nuovamente.
Non ho mai capito se ciò che disse lo pensava veramente, ma per me quella era l’unica possibilità che ormai avevo per tornare a casa (non tenendo assolutamente conto di cosa avrei provato poi su un elicottero!)
La mia fortuna fu che il gruppo si era fermato non molto lontano, su un delizioso pianoro adiacente al rifugio Schotter; il ghiaione era finito e da lì partiva un sentiero molto largo e contornato da splendidi e rassicuranti alberi e cespugli.
Del mio choc non dicemmo niente (anche perché non avevo ancora ripreso l’uso della parola), ma Tullio aveva lasciato la nostra cinepresa a uno dei nostri amici e questo aveva ripreso sia il nostro arrivo (quello cioè di un uomo che si trascinava appresso una specie di fantasma tremolante e con gli occhi sbarrati) sia il paesaggio tutto attorno: S. Vito visto dal­l’altro, dei canaloni molto ripidi, il volo degli uccelli che scendevano in picchiata, i pendii a strapiombo.
Beh! Ieri li ho rivisti e non potevo crederci! la testa ha cominciato a girarmi, mi ha preso una morsa allo stomaco e un forte senso di nausea: …soffrivo di vertigini!

 

Competenze

Postato il

settembre 24, 2017

Invia commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra. maggiori informazioni

Questo sito utilizza i cookie per fonire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o clicchi su "Accetta" permetti al loro utilizzo.

Chiudi