PARLANDO 1997-01-21
Mia madre ed io, sedute al tavolo della cucina, la tazzina del caffè ancora fumante in mano, chiacchieriamo su argomenti di nessuna importanza. Poi d’un tratto lei distoglie gli occhi, fissa con lo sguardo un punto lontano nel tempo; è bastata una frase banale per farle compiere un balzo a ritroso di parecchi anni. E con la monotonia dei vecchi mi racconta forse per la centesima volta uno dei tanti episodi incredibili che hanno costellato la sua giovinezza.
L’ascolto solo in minima parte cosciente, la mia mente divaga, le si avvicina, si rannicchia vicino a lei come facevo da bambina quando ascoltavo i suoi racconti come se fossero delle storie fantastiche; come allora mi immergo nel suo mondo, ma con l’esperienza acquisita nella “mia” vita, la comprendo molto di più e mi immedesimo. Poi ancora torno all’oggi, ai suoi ottanta anni ormai quasi passati, alla sua mente che si perde nel nulla sempre più spesso; vado al domani, ma torno subito indietro timorosa di pensare ad incognite non certo piacevoli.
Ascolto il suo monologo; ogni tanto annuisco con la testa per farle capire la mia partecipazione; poi torno a pensare.
Sono rari questi momenti in cui nel resto della casa c’è silenzio, in cui non sono troppo affaccendata in torno o, lo ammetto, in cui ho la pazienza di starmene seduta per un così lungo tempo ad ascoltare una volta ancora cose che ormai conosco così bene. Ma sono per lei momenti troppo preziosi per lasciarli andare.
Ora parla sempre più in fretta, omette particolari che io so esistere, divaga in cento altre parti per voler raccontare quante più cose può… ne risulta un discorso un po’ sconclusionato e ingarbugliato… ma non ha proprio la minima importanza.
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