PAROLE 1994-01-05
“Ci sono parole belle e parole brutte.” Diceva la buona fata a Cenerentola in un vecchio film, libero rifacimento dell’ineguagliabile favola.
Vero! A prescindere totalmente dal loro significato intrinseco, ci sono parole il cui suono può essere più o meno gradevole di altri. E così diremo che cioccolatino detto con la bocca chiusa a cuore è molto diverso e più simpatico di cioccolata detto a bocca spalancata. A me piacciono: trillo, lillà, Pechino; preferisco il tic al tac, e il din al don.
Se non si pensa al significato, allora si può aggiungere che mamma e papà non sono che l’inizio di un balbettio; precipitandosi, lapsus, conchiglia, scorribanda, sono labirinti, spirali, intoppi dove la voce si perde o inciampa; che farfalla, birilli e salmonella sembrano nomi di cose carine; che bolla, tetto, sbuffo sembrano allegri scoppiettii e sdrucciolo il nome di uno dei sette nani. Il mio nome invece, non mi piace. Mi suonano meglio Anna, Lucy, Mimì o… Ardelia, che trovo adatto per un bel fiore giallo.
Le parole in fondo sono suoni che noi abbiamo imparato a dominare e applicato a oggetti persone o emozioni ecc. e uniamo assieme per formare frasi e definire così concetti e naturalmente comunicare fra noi. Una stessa parola o frase pronunciate da persone diverse possono cambiare di significato, così una poesia banale letta in fretta o in maniera apatica da una persona qualsiasi, sembra ancora più sciocca, decantata da un “fine dicitore”, può sembrare quasi arte. Proprio come la musica, no? Un motivo strimpellato su una pianola per bambini può essere solo noioso, suonato magistralmente su un pianoforte a coda, risultare una grande opera.
Ma tornando alle singole parole, che ne dite di: brillio, spicchio, pompon? Alcune mi sono solo più simpatiche scrivendo; mi sono accorta che ripeterei continuamente: proprio, tutto e…e, accentata o meno, ne metterei a iosa (anche questa mi piace) assieme a tutti gli avverbi che finiscono in –mente, e in genere le parole brevi accentate.
E ora prendiamo in considerazione alcune diversità di suono delle stesse parole nelle diversità di lingue che siamo andati a inventare tanto per comprenderci meno. Così, con un paio di esempi diremo che se in Guglielmo la lingua ti si incastra tra i denti, la sua versione inglese di William è notevolmente più scorrevole, e se in margherita inciampi su quell’orribile “ghe”, daisy è decisamente più carino.
Non pare anche a voi? Forse no, ma poco importa, anche su questo argomento l’interesse e il piacevole è molto soggettivo. Naturalmente… è… proprio… così… ma …e… se…
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