VENITE, VI RACCONTO UNA BRUTTA FAVOLA 1995-09-03
Era un uomo vecchio, nel vero senso della parola. Viveva con la pensione minima ma si sentiva libero di avere ancora uno straccio di orgoglio, cencioso come gli abiti che portava, e così, a ogni vigilia di Natale, costringeva tutti i nipoti e pronipoti che riusciva ad agguantare, ad ascoltare la sua narrazione di vecchie favole di tanti anni fa, quando buoni sentimenti e lieti fini erano ancora in auge. – Ma basta, brutto vecchio! piantala! – dissero i più piccoli. Questa volta però, il nonno si sedette beato sulla sua poltrona sgangherata sentendosi ormai libero da ogni impegno anche con la sua coscienza, e rimase a osservare i ragazzini che staccavano le ormai poche palle colorate rimaste nell’albero e se le tiravano addosso a mo’ di sassi e cercavano di legarsi a vicenda con i fili d’argento che, ormai consumati e fragili, immancabilmente si spaccavano. Esasperate dalle continue urla arrivarono dalla cucina mamme, zie e nonna (la loro esasperazione è l’unica costante fissa di ogni storia) e menarono quattro sganascioni a destra e a manca colpendo senza pregiudizi chiunque capitasse a tiro.
– Papà, vedi di darti un po’ da fare anche tu! tenta almeno di farli stare un po’ quieti raccontandogli un paio delle tue tediose storie. O stasera salterai tu la cena!
– Tanto! – rispose il vecchio – con questa dentiera da quattro soldi che mi hai fatto mettere, più che uno schifo di minestrina non riesco a mandar giù!
Comunque, in previsione di un’eventualità simile, memore dell’autorità che aveva in gioventù aveva comperato una bomboletta spray contenente un liquido garantito altamente rivoltante e con quella ora teneva a bada l’orda di pestiferi demoni. – Non provarci nemmeno a spruzzarmela addosso! – disse una delle nipoti, una bella ragazzina dodicenne dagli splendidi occhi blu semi nascosti da un trucco pacchiano, accavallando le lunghe gambe “scoperte” da una minigonna vertiginosa facendo morire d’invidia la cugina grassottella e un po’ miope.
– Avete ragione voi! – disse il nonno tenendoli sotto mira e lasciandoli allibiti per questa inattesa ammissione – le vecchie favole sono totalmente stupide e noiose. Stavolta inventerò una favola nuova e moderna. Se ve ne state un po’ zitti, vi racconterò una “brutta storia”!
“C’è tutt’oggi un mondo dove l’egoismo e la perfidia regnano incontrastati. Anche qui i nonni sono talvolta costretti a raccontare qualcosa a nipoti irrequieti e distratti. Ma in questo mondo Cenerentola usa la cenere del caminetto per truccarsi da punk; va così al ballo, e non gliene importa niente di rincasare che è quasi mattino tanto si fa riaccompagnare non dal principe, ma dal vecchio riccone con la mercedes. Lì, la Bella Addormentata non può starsene a godere dormendo sul suo comodo letto per un intero secolo, ma è costretta dalle “fate” della clinica Sempre giovani e belli in lunga vita a vivere sì fino ai cent’anni, ma costretta a stare ben sveglia e sottoporsi a continui lifting e quindi a vedere il suo regno che, dato i tempi, va in malora, si proclama repubblica e va anche peggio! Raperonzolo quando era una giovane e bella principessa ha sperperato tutto il suo patrimonio, non si è fatta nessuna assicurazione, non ha versato nessun tipo di contributi e non è nemmeno stata previdente tanto da farsi una pensione integrativa, senza il becco di un quattrino, vagabonda qua e là contendendosi le panchine del parco e ciò che trova rovistando tra i rifiuti con barboni, randagi e simili.
E’ un mondo dove regna la legge del più forte, o, meglio ancora, del più ricco. L’orco delle vecchie storie è ora un omino dall’aspetto anonimo ma straricco; per sgominare i suoi avversari si avvale di una folta schiera di valenti avvocati, e nel caso servano, di un gruppo di guerrieri ninja (che ormai si possono assoldare via internet). Se poi dovesse fare le cose più in grande chiama mercenari extraterrestri che ormai non si chiamano più “Visitors”, ma “Collaboratori esterni”. Questi arrivano sulle loro armatissime astronavi, fanno fuori un po’ a caso chi gli capita, dato che si fanno sempre pagare in anticipo perché non si fidano mai e non si prendono la briga di imparare la lingua dei nativi (cioè dei terrestri) e non capendo quindi gli ordini ricevuti cercano di colpire un numero sufficientemente alto di gente pensando (giustamente) che in mezzo a tanti con qualcuno ci azzeccheranno di certo. Poi, naturalmente indisturbati, se ne vanno, capendo che questo mondo per autodistruggersi ci riesce benissimo anche da solo. Ovvio che qui non c’è qualche sana guerra depuratrice, ora sono tutti contro tutti. Non ci sono né vinti né vincitori, chi ammazza di più “gli altri” e conquista più territori e risorse, domina per un po’ finché vengono a loro volta sopraffatti.
Ci sono gli elfi (sono chiamati così quelli che conoscono “i modi giusti” e le “persone giuste”); le streghe (racchione che “comprano” tutti i migliori maschi in commercio, principi e non, azzurri o meno, e lasciano le belle bionde a spaccarsi le guance per sorridere davanti a ogni telecamera sperando che qualche produttore cinematografico le noti, o a morire di anoressia per fare le top model). Quanto ai nani, se sono gruppi di sette, lavorano nelle miniere di pietre preziose (naturalmente senza tenersele), se sono un numero inferiore o da soli, lavorano nei circhi, dove non fanno assolutamente ridere ma vengono derisi. Qui nessuno vuole più lavorare nei campi, nemmeno le macchine, che avendo raggiunto una capacità di gestione autonoma preferiscono oziare o dedicarsi ai giochi. Non esistono dunque più i vegetariani. I lupi non trovano manco una carcassa spolpata di agnello ma anzi vengono loro stessi cacciati per essere trasformati in cibarie dato che di animali tradizionalmente usati a tale scopo ne sono rimasti ben pochi, ora tutto il cibo è sintetico. I topi spadroneggiano sui gatti che senza stivali più o meno magici si logorano le zampe nel tentativo, quasi sempre infruttuoso, di scappare dai bambini che hanno sostituito le coccole ai mici con ben più divertenti partite di tiro al bersaglio.”
Ora tutti ascoltavano in silenzio quasi religioso. Nella stanza risuonava solo la voce sicura e incalzante del nonno che spietato demoliva a uno a uno personaggi e storie dei tempi andati; egli correggeva, trasportava, adattava tutto ai brutali tempi attuali. Non serviva più tenere fermi i ragazzi, se ne stavano quasi schiacciati nei posti dove si erano seduti dal peso di quella voce; a essi si erano uniti i genitori che prima si trovavano in altre parti della casa, e tutti assieme non riuscivano a far altro che ascoltare quella lunga sequela di meschinità e miserie.
E assieme alla orribile trasformazione subita da fate e teneri cuccioli, vissero attraverso le parole del nonno con sirenette più simili a squali e soldatini-dittatori; assistettero alle metamorfosi di bambini fantasiosi non più in innocui burattini ma in robot super armati. E il tutto sembrava così vero, così tangibile, così terribilmente simile alla vita odierna da sconvolgerli.
E piano piano, parola dopo parola, storia dopo storia, il tempo passò. Dimentichi della preparazione del cenone, delle chiacchiere, dei litigi e dei dispetti, nessuno si rese conto dell’ora finché un vecchio orologio salvatosi chissà come dall’usura del tempo e dall’incuria dei proprietari, non fece sentire i rintocchi di mezzanotte.
– Ho finito! – dichiarò il nonno. – Buon Natale a tutti! – e presa dalla tasca la pipa da anni inutilizzata, se ne andò in camera sua con la ferma intenzione di farla rivivere ancora.
E coloro che erano rimasti nella stanza a quelle parole sembrarono ridestarsi e tutti, come animati da un unico pensiero, piano, quasi con timore e con dolcezza, si guardarono e fu come se il colpo di una vecchia meravigliosa bacchetta magica avesse riportato indietro il tempo, a quando il mondo era ancora vivibile, a quando le favole facevano ancora sognare.
Gli adulti ripresero la preparazione della cena, questa volta però cercando di soddisfare quanto più possibile le esigenze dei commensali; chi preparò la tavola mise molta cura per dare anche all’occhio la sua parte, e riesumando vecchi oggetti per molto tempo considerati solo carabattole che il nonno spilorcio non voleva buttare, dispose lungo la tavola sopra la vecchia tovaglia rossa ripresa dal fondo dell’ultimo cassetto, candelieri, pigne dorate, ninnoli e bigliettini augurali.
Quanto ai ragazzini, una volta tanto tutti d’accordo, a uno a uno raccolsero le palline e gli addobbi dell’albero e li sistemarono quanto meglio poterono. Poi lo trasportarono proprio nel mezzo del salotto, aggiustarono e accesero le lucette intermittenti, e ripresa la vispa vitalità dei giovani questa volta con allegria ricominciarono a parlare, ridere e scherzare. Si erano sistemati tutti appresso all’albero, quasi a chiedere perdono, protezione e aiuto contro il grigiore e la meschinità di un mondo senza sogni e senza fantasia.
– E’ pronto! tutti a tavola! – gridò la padrona di casa. – Papà, vieni per piacere, vedrai che cenetta ti abbiamo preparato! – soggiunse quasi con dolcezza. E il nonno uscì. Trascinando le ciabatte, la vecchia pipa in mano, si diresse verso la sala da pranzo dove tutti lo stavano aspettando.
Passando davanti al salotto però, si fermò un istante, fece un passo all’interno, guardò l’abete tutto addobbato e strizzò l’occhio.
– Questa volta ce l’abbiamo fatta, eh vecchio mio! sarà certo per pochi giorni, ma molte storie cominciano in sordina per poi arrivare passo passo a un bel finale. E al prossimo Natale manca ancora un anno!
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